Egregio Direttore,

Ho deciso di scriverle solo ora in quanto c’è voluto un po’ di tempo prima che mi rendessi conto che, un articolo letto domenica scorsa, fosse veramente di un importante quotidiano nazionale. Infatti ero convinto di aver sfogliato un giornalino locale, dove le notizie si costruiscono con difficoltà ed è difficile fare delle ricerche approfondite per dare completa informazione al lettore, per cui ho dato poco valore alla cosa ma mi sono sbagliato.

La notizia era proprio sul più importante quotidiano italiano, addirittura a pag 19, Il Caso: “Il pane che Milano butta via. Ogni giorno 180 quintali”. Dopo questo fragoroso titolo, il pezzo riportava anche una serie di interviste da far venire i brividi al lettore: “[…] pensiamo alle enormi quantità di pomodori e arance che vengono distrutte”, […] “Insomma non ne vale più la pena, costerebbe troppo recuperarlo e anche le leggi non aiutano”.

Addirittura un esponente del non profit ritieneva più comodo e conveniente farselo regalare che attrezzarsi per recuperare tutto quel ben di Dio. Per fortuna, alla fine, una possibile soluzione veniva lanciata dal presidente di un importante rivista per i consumatori: “obblighiamo ad abbassare i prezzi dopo le sei del pomeriggio […]” (chissà perchè mi è vento alla mente Chavez che ha appena minacciato le catene dei supermercati di statalizzarle cosi da garantire prezzi bassi al popolo). A dar forza all’articolo, un altro pezzo dove si citavano anche Slow Food, la Caritas Milanese e un professore di Bologna, che volentieri rilascia interviste. Con energia proponevano slogan, studi, proposte, modelli. Si esprimevano tutti al futuro o al condizionale..” ci confronteremo su questo tema nel prossimo futuro” […] “Sono certo che i milanesi pagherebbero qualcosa in più per recuperare” […] ”in Italia si potrebbero salvare […]”. Non bastasse, il Ministro dell’Agricoltura in persona, prendeva carta e penna e scriveva al direttore. Scandalizzato da questo sistema non etico evocava la saggezza contadina e la filiera corta, e sul finale un piccolo suggerimento: ”sostenere realtà come Banco Alimentare”.

Oddio, mi ero cosi spaventato che non mi ricordavo più che il Banco Alimentare opera in Italia da 20 anni e che solo, nell’anno appena trascorso, ha raccolte più di 60.000 tonnellate di alimenti che nell’articolo venivano definiti “spreco” (tra i quali qualche migliaia di tonnellate erano proprio frutta e verdura e anche circa 300 tonn proprio di pane nella città di Milano) distribuendole a più di 8.000 associazioni caritative, in Italia, poi utilizzate per sfamare 1.500.000 di poveri (il 50% circa delle persone in uno stato di povertà alimentare, secondo la prima “Indagine sulla povertà alimentare” realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà).

Allora forse la vera notizia da pubblicare non è lo spreco alimentare (cosa tra l’altro presente in tutte le civiltà ed epoche) ma lo scarso sostegno (economico e comunicativo) nel dar forza a chi già offre una risposta concreta e affidabile, fino al punto anche di fare leggi innovative (vedi legge del 1997 per gli sgravi fiscali e del 2003 più famosa come Legge del Buonsamaritano che permette di recuperare gli alimenti deperibili). A chi non guarda se “vale la pena”, perché propone non solo un programma di lotta nel futuro ma una quotidiana possibilità di accogliere le energie gratuite di decine di migliaia di persone che desiderano essere protagonisti e non solo “opinionisti”. Va sempre ricordato che il cibo è un dono che l’uomo ha ricevuto dal suo Creatore fin dalla sua origine e continua a ricevere ogni bambino che nasce attraverso il seno materno.

 

Quindi, ciò che è impossibile alle leggi del mercato può essere possibile con la legge suprema dell’uomo che è la Carità. Don Luigi Giussani (oltre che fondatore di CL anche promotore, insieme al Cav. Danilo Fossati, dello sviluppo del Banco Alimentare in Italia) ricordava ai suoi ragazzi che andavano dalle famiglie povere della Bassa Milanese, inutilmente per i ben pensanti di allora: “La Carità non fa solo buoni cristiani ma cittadini nuovi”. Per questo occorre sostenere chi rischia alleanze (più di 500 sono le aziende della filiera alimentare che collaborano con il Banco Alimentare) che non hanno come misura solo il proprio tornaconto ma anche la passione per il bene di un popolo. Favorire un’opera come il Banco Alimentare, anche per le realtà non profit, che hanno come scopo aiutare i poveri e non occuparsi di trasporti e logistica, sarà un beneficio e cosi non dovranno più dire “non abbiamo la possibilità”.

 

Come ha ricordato Don Julian Carron nel suo intervento all’Assemblea Generale della Compagnia delle Opere, nel novembre scorso: “Cercare di tenere in piedi un’opera di questi tempi è veramente una cosa ardua. Voi lo sapete bene, voi che vi dibattete tra continuare a costruire questo bene o gettare la spugna, chiudendo i battenti. La tentazione dell’individualismo è sempre in agguato. L’insidia del si salvi-chi-può è più forte che mai. Per tanti di voi sarebbe più comodo. Vi risparmiereste non poche preoccupazioni. Eppure non vi siete chiusi in voi stessi, dimenticando gli altri”.

 

Concludo comunicandole che vorrei ringraziare, attraverso il suo quotidiano ondine, anche la giornalista del Corriere della Sera. Infatti, grazie al suo articolo, ieri mattina sono stato contattato dalla Federazione Italiana Panificatori per realizzare un progetto per il recupero del pane invenduto, proprio mentre stavo finendo una riunione dove avevamo programmato tutte le azioni da svolgere nel 2010. Non credo di aver sprecato la mattina avendo poi rivisto la programmazione a seguito di quella telefonata.

 

Per noi ne valeva la pena.

 

Cordiali saluti

 

Marco Lucchini

Direttore generale Fondazione

Banco Alimentare-ONLUS