«Credo che oggi sia la volontà di una prospettiva più sicura per il futuro – ambientale, economica e sociale – a farci leggere in modo diverso e più vero l’economia. E il Papa l’ha fatto. La sfida dell’ambiente è per una vita più degna». Ermete Realacci dialoga con ilsussidiario.net sul discorso di Benedetto XVI del primo gennaio, Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato.
Bisogna rinnovare l’alleanza tra essere umano e ambiente, dice Benedetto XVI. In cosa consiste per lei questa alleanza?
Ho sempre pensato che non si difende l’ambiente senza un’idea alta dell’uomo. Nella mia impostazione la difesa dell’ambiente nasce da un’idea di stampo umanistico, in cui è la ricerca delle qualità migliori dell’essere umano a spingere a un rapporto più equilibrato con la natura. Se è vero a livello mondiale, lo è a maggiormente per il nostro Paese.
Cos’ha il nostro Paese di diverso?
Quando pensiamo all’ambiente, noi italiani, pensiamo a un incrocio tra natura, storia e cultura, tenuta delle comunità, coesione sociale e sussidiarietà che, nel corso dei millenni, hanno segnato quello che oggi concepiamo come ambiente. È molto complicato pensare all’ambiente slegato da questa presenza umana che lo caratterizza. Gli stessi parchi nazionali, il contesto più tipico della politica ambientalista, in Italia non possono prescindere da questa presenza, come nel modello anglosassone.
Perché, in cosa consiste il modello anglosassone?
È il modello prevalente nelle altre parti del mondo. Dove il parco è considerato una zona da preservare e sottrarre all’azione dell’uomo. Come Yellowstone. Ma si tratta di 800mila ettari – l’equivalente di tutti i parchi dell’Italia centro-meridionale – di proprietà pubblica. Dentro il quale non c’è una chiesa, una rocca, un eremo, un castello o un comune. In Italia i parchi sono concepiti diversamente. Basti pensare al Parco delle Cinque Terre; dove la fatica e la povertà di quelle comunità hanno strappato alle colline spazi di terra, a volte larghi poco più di un metro, portando pietre dal mare per costruire muri a secco. Per noi il parco ha che fare con la storia, l’evoluzione culturale, il sentimento delle comunità.
Ambiente ed economia, per il Papa, sono estremamente correlati. E l’una ha delle responsabilità sull’altro. Perché?
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Quest’anno ricorre l’ottocentenario della Costituzione di Siena del 1209, che recitava “si governa per avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini”. In tre righe i senesi avevano “sceneggiato” il Buon governo di Lorenzetti: teorizzando l’inclusione e l’accoglienza, ma anche – diremmo oggi – il marketing territoriale, una forma di fascinazione dei forestieri. Si tratta di una bellezza che non si misura, non si compra, ma che in realtà fa parte della prosperità e dell’accrescimento della città e dei cittadini. Si tratta di un’economia a misura d’uomo. Trovo il messaggio del Papa collegato a quello della costituzione senese. Ragionare sull’economia non è in contrasto ma, anzi, trae alimento dalla realizzazione delle speranze umane.
In che modo ambiente, sviluppo scientifico ed economia, possono armonizzarsi?
Credo che oggi sia la volontà di una prospettiva più sicura per il futuro – ambientale, economica e sociale – a spingere nella ricerca delle ragioni dell’uomo la chiave per leggere l’economia e per valutare le potenzialità offerte dello sviluppo scientifico. Senza questo passaggio si imboccano delle scorciatoie che diventano vicoli ciechi. La tecnica non può calpestare le ragioni degli uomini ma essere al suo servizio. Idem l’economia. E anche nel fare economia l’Italia prende le mosse dalle sue più profonde radici.
Ossia? Ci faccia un esempio…
Mi viene in mente Bernardino da Siena, un francescano che, a cavallo tra il ’400 e il ’500, preparava prediche minuziosissime, seguite, all’alba, da tutta la popolazione, e tramandate da un artigiano cardatore grazie ad uno speciale sistema di stenografia su tavolette di cera di sua invenzione. Ebbene, San Bernardino, nelle sue prediche, aveva analizzato le ragioni dell’economia. Ad esempio, elencò le quattro caratteristiche di base di chi, facendo impresa, faceva anche il bene della comunità, le “virtù teologali” dell’imprenditore: l’efficienza, la responsabilità, la laboriosità e il coraggio di intraprendere. Se l’avesse scritto oggi un guru della finanza, gli avrebbero dato il Nobel per l’economia. E – a proposito di finanza tossica – disse che è lecito vivere di rendita quando non si è più in grado di fare impresa. Chi è ancora in grado e vive di rendita, sottrae talenti alla comunità; compie un atto eticamente non legittimo.
Ecco, appunto, perché Ratzinger lega la crisi ambientale e quella economica alla crisi morale?
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Quando le ragioni dell’economia si distaccano dalle ragioni dell’uomo, quando il legittimo soddisfacimento dei propri desideri non viene più esaltato e sublimato dalla comprensione delle esigenze complessive della comunità e degli altri, quello che apparentemente può sembrare la strada più efficiente e soddisfacente, si traduce nella scelta peggiore. Di cui gli effetti sull’ambiente sono un chiaro sintomo.
Perché, invece, custodire l’ambiente è importante oltre che per l’ambiente, per l’uomo stesso?
Non mi piacciono gli scenari catastrofici. Se sapessi che il mondo finisce tra dieci anni penserei: “allora tanto vale inquinare senza remore”. Ma se c’è una cosa cui Copenaghen è servita, è stata quella di farci rendere conto che i rischi ci sono realmente per tutti. La sfida ambientale fa parte di un ragionamento più ampio, di una sfida nel ricercare una vita più degna di essere vissuta e, quindi, più umana.
La natura per il Papa va rispettata perché è dono di Dio. Lei cosa ne pensa di questo approccio?
Penso che rispettare la natura sia la maniera per rispettare le ragioni del futuro dell’uomo, indipendentemente dall’origine di questo rispetto. Il Papa, potremmo dire, popolarizza questo bisogno collettivo.