Nel clima politico concitato e confuso che stiamo vivendo, si aggiunge uno scontro durissimo all’interno del più autorevole quotidiano italiano, il Corriere della Sera. E’ noto da tempo che la Rcs, come del resto molte aziende editoriali, si trova in uno stato di difficoltà, in un palese “stato di crisi”. Questi anni di tsunami finanziario ed economico hanno provocato un calo della pubblicità con percentuali a due cifre e nello stesso tempo una lenta erosione, ormai quasi fisiologica, delle vendite. E’ giusto sottolineare che questa è una situazione simile a tante realtà editoriali, in tutto il mondo, anche perché la “rete”, con i quotidiani on-line e i diversi siti che si aggiornano ormai ogni mezz’ora anche in Italia, stanno inevitabilmente impoverendo sul tempo della notizia l’informazione scritta.



Questo problema mondiale, nel momento in cui è “sbarcato” anche in via Solferino, ha ovviamente fatto scattare i nervi al Comitato di redazione più radicale d’Europa. Radicale nel senso di orientato a sinistra, con discorsi da Fiom tanto per intenderci, e di conseguenza poco collaborativo in materia di ristrutturazioni, di attenzione ai conti, al futuro e al rilancio del giornale. Del resto, come era inevitabile, il Cdr del Corriere risente di un’antica “paternità fienghiana”, cioè del sessantottismo portato da Raffaele Fiengo all’epoca della direzione di Piero Ottone. Una svolta gauchista all’interno del Corriere che ispirò a Michele Brambilla il suo libro-cult “L’eskimo in redazione”.

Il problema è che questa volta il “braccio di ferro” non è solo tra azienda e redazione, ma tra direttore e giornalisti. Un salto di qualità inquietante per certi aspetti. Il Comitato di redazione del Corriere ha diramato questo comunicato: “Il Corriere della Sera venerdì 1 ottobre e sabato 2 ottobre non sarà in edicola e, nelle stesse giornate, il suo sito Corriere.it non verrà aggiornato. L’assemblea dei giornalisti ha votato due giorni di sciopero immediato e ha consegnato al Comitato di Redazione un pacchetto di ulteriori cinque giorni per rispondere all’attacco che il Direttore ha mosso contro le tutele e le regole che garantiscono la libertà del loro lavoro e, di conseguenza, l’indipendenza dell’informazione che il giornale fornisce.

Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo

Invitati a un tavolo di trattative sulla multimedialità, i componenti del Cdr non hanno nemmeno trovato un inizio di confronto, ma soltanto una lettera nella quale il Direttore sanciva, fra l’altro, che “l’insieme degli accordi aziendali e delle pressi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non hanno più senso”. Sostanzialmente, nell’attuale “stato di crisi”, il Cdr di via Solferino accusa Ferruccio De Bortoli di “posizione pregiudiziale”. Come ripetiamo, uno scontro senza precedenti anche nella tormentata storia dei rapporti sindacali di via Solferino, dove, in genere, il direttore si mostrava neutrale, oppure mediatore tra redazione e azienda, o addirittura solidale con i giornalisti.

 

Questa volta il direttore del Corriere della Sera non si è tirato indietro e ha messo, come si suol dire, “i puntini sugli i”. Scrive infatti Ferruccio De Bortoli : “Cari colleghi questa lettera vi complicherà la vita. Ma la discussione che ne scaturirà ci permetterà di investire meglio nel nostro futuro di giornalisti del Corriere della Sera. E costituirà uno spunto importante per una discussione di carattere generale che la nostra categoria non può rinviare all’infinito. Di che cosa si tratta ? In sintesi vi potrei dire: investiamo di più nel giornale e nella qualità, ritorniamo a dare spazio ai giovani, ma ricontrattiamo quelle regole, in qualche caso autentici privilegi, che la multimedialità (e il buon senso) hanno reso obsolete. Con molta fatica, grazie soprattutto al vostro senso di responsabilità, stiamo completando una ristrutturazione dolorosa ma necessaria che non ha messo però in cassa integrazione diretta alcun collega, com’è avvenuto in tutte le testate”.

 

Dopo aver ricordato il periodo difficile che il Corriere sta affrontando, De Bortoli punta al cuore della questione: “L’industria alla quale apparteniamo e la nostra professione stanno cambiando con velocità impressionante. In profondità. Di fronte a rivolgimenti epocali di questa natura, l’insieme degli accordi aziendali e delle prassi che hanno fin qui regolato i nostri rapporti sindacali non ha più senso. Questo ormai anacronistico impianto di regole, pensato nell’era del piombo e nella preistoria della prima repubblica, prima o poi cadrà. Con fragore e conseguenze imprevedibili sulle nostre ignare teste”.

 

Clicca >> qui sotto per continuare l’articolo

 

 

E qui comincia l’accusa dettagliata del direttore: “Non è più accettabile che parte della redazione non lavori per il web o che si pretenda per questo una speciale remunerazione. Non è più accettabile che perduri la norma che prevede il consenso dell’interessato a ogni spostamento, a parità di mansione. Prima vengono le esigenze del giornale poi le pur legittime aspirazioni dei giornalisti. Non è più accettabile che i colleghi delle testate locali non possano scrivere per l’edizione nazionale, mentre lo possono tranquillamente fare professionisti con contratti magari per giornali concorrenti. Non è più accettabile l’atteggiamento, di sufficienza e sospetto, con cui parte della redazione ha accolto l’affermazione e il successo della web tv. Non è più accettabile, e nemmeno possibile, che l’edizione Ipad non preveda il contributo di alcun giornalista professionista dell’edizione cartacea del Corriere della Sera”.

 

A ben vedere è uno scontro “al calor bianco”, dove, a nostro modesto parere, il direttore si dimostra un innovatore e il sindacato invece appare conservatore e burocratico. E non serve a nulla l’irrigidirsi della posizioni. C’è ormai una doppia crisi nella stampa scritta: quella dell’innovazione tecnologica e quella collegata alla grande crisi finanziaria di questi anni. Il braccio di ferro tra direttore e Comitato di redazione non è solo legato al presente, al contingente “stato di crisi”, ma soprattutto al futuro del giornalismo.