Volto tra i più noti della televisione, Barbara Palombelli ha colpito tutti e in special modo il circo mediatico con la sua lettera idealmente inviata a Sarah Scazzi.
In un momento in cui praticamente tutti i programmi tv dedicano in modo ossessivo i loro spazi al caso della ragazzina assassinata, Barbara Palombelli ha avuto il coraggio di chiamarsi fuori. E lo ha fatto con parole piene di sentimento e dignità, non con accuse rabbiose: “Cara piccola Sarah, occhi da cerbiatto. Noi che, senza conoscerti, ti abbiamo incontrato nei telegiornali e sui giornali, ti abbiamo mangiata proprio come l’umidità di quel pozzo. Un pezzettino al giorno, piano piano, senza sprecare nemmeno una briciola della tua tragica favola (…) Non ti dimenticheremo. Sarah, perdonaci se puoi…”.
Abbiamo parlato con lei per farci spiegare cosa l’ha spinta a scrivere tali parole, addirittura dicendo di non voler più lavorare in televisione, e per parlare con lei di quale sia il modo giusto per affrontare giornalisticamente casi come quello di Sarah Scazzi.
Che cosa l’ha spinta a scrivere quella lettera?
Sarah somiglia moltissimo alla mia figlia più piccola. Sono bionde, piccoline, magre, hanno voglia di crescere in fretta ma alternano i vampiri ai pelouche. Credono di sapere tutto e non sanno niente… Mi ha sempre fatto una grande impressione questa somiglianza, quando sono negli studi televisivi a volte mi commuovo.
Diversi esponenti dei media hanno detto che non è una cosa piacevole, ma i media danno alla gente ciò che la gente vuole. Qual è il giusto modo per affrontare mediaticamente casi come quello di Sarah Scazzi?
È chiaro che dobbiamo continuare a investigare… E il dramma di Sarah potrebbe perfino aiutare a vigilare di più sulle nostre creature, sulle persone insospettabili che spesso sono proprio le più pericolose. Tuttavia, certi pregiudizi e alcuni dettagli volgari potrebbero infangare la memoria di una vittima. Ma qui, in Italia, i morti della cronaca non riposano mai in pace e, non esiste alcun diritto all’oblio.
Ci sono stati altri casi di cronaca in cui lei ha vissuto il medesimo disagio mediatico?
Sì, quando è stato rimosso il ricordo del piccolo Samuele Lorenzi, perfino dai suoi familiari. Un bambino di 3 anni, con il cranio fracassato, cancellato per lasciare spazio ad altre persone, in gran fretta. Quello di Cogne è il caso più recente. Ma il primo, all’inizio della mia carriera, fu il massacro mediatico che subì la famiglia Moro… Nei cinquantacinque giorni del sequestro e dopo l’uccisione del leader DC, fino ad oggi. La verità drammatica è che le vittime sono meno celebrate dei loro carnefici.
Perché invece secondo lei la vicenda dei minatori cileni ha invece suscitato un plauso positivo per come è stata condotta dai media? Una buona notizia, un grande successo umano, dei veri eroi.
Ci hanno scaldato il cuore senza drammatizzare la loro atroce condizione. Una prova di grande coraggio, in tempi di colossali viltà.
Nella sua lettera lei dice anche “Ora è proprio arrivato il momento di pregare, pregare per te e per noi, per il nostro lavoro”, sono parole che raramente si sentono dire da dei giornalisti, come le spiega?
Mi sono venute di getto… Sarah aspettava i 18 anni per ricevere il battesimo che sua madre gli aveva negato. Cercava una di dimensione spirituale, dobbiamo restituirgliela ora. La preghiera è un grande aiuto, sempre.
Come giudica la lettera che la mamma di Sarah ha inviato al programma Matrix? Alcuni dicono che in lei ci sia desiderio di vendetta, altri il contrario…
I sensi di colpa, a volte, producono vendetta. Vanno trasformati in azioni positive, che sprigionano una forza più duratura di qualunque giustizia sommaria…
Lo scrittore Luca Doninelli in una intervista sul caso Scazzi ha detto che ciò che “ci scandalizza veramente non è il male, ma il perdono” . Vedendo le reazioni di molta gente, alcuni che invocano la pena di morte per Michele Misseri, sembra che oggi il “perdono” sia una cosa impossibile.
Nell’immediato potrebbero essere reazioni normali e comprensibili. Con il tempo, invece, il perdono è molto frequente. Non sono pessimista, vedo tante persone serene e perbene, capaci di perdonare. Magari la tv non li racconta, ma ci sono.
Luca Doninelli parla anche del male come una realtà che appartiene all’uomo: “Una volta lo si chiamava peccato originale”, dice.
Il male è dentro di noi, accanto a noi. All’interno delle famiglie, il materialismo assoluto ha liberato istinti primordiali. Si vive solo per il denaro e questo disvalore produce vendette, rivalità, gelosie. Si muore per il denaro nelle ville dell’Olgiata, si muore anche se ci si chiama Gucci, non solo se si vive ai confini delle grandi città o nei piccoli paesi.