L’Italia non è il Pakistan. E non tollereremo altri delitti d’onore. lI tragico episodio di Novi, priovincia di Modena, dove il comportamento di Butthamad Kahn, marito e padre-padrone pakistano 53enne, ha condotto al grave ferimento della figlia, ribellatasi perché non intendeva sottostare al matrimonio forzato voluto dal padre e all’uccisione della moglie a colpi di pietre, rappresentano un rituale degno del più barbaro estremismo.
A Nosheen, il fratello ha sfondato il cranio a colpi di spranga: a Novi si è consumato il dramma di un’integrazione fallita colpita a morte dal predominio indiscusso dei maschi sulle donne della famiglia, costrette a subire in silenzio.
Ci troviamo ancora a fare da baluardo contro la segregazione, la ghettizzazione, la prepotenza culturale imposta con la forza della morte, così come accaduto a Hina Saleem o Sanaa Dafani e le tante altre ormai senza voce. Non è più accettabile che in Italia, paese di libertà e di pari diritti, un marito uccida una moglie per la sola colpa di aver voluto difendere il libero arbitrio della figlia.
In Italia ci sono 123.000 marocchine e solo 7.000 alzano la voce contro i padri e i mariti per far valere i loro diritti. Di chi è la colpa? Ci si potrebbe chiedere. E allora è necessario fare un profondo esame di coscienza e capire che la responsabilità di queste morti ricade su tutti noi.
Ricade sugli intellettuali e sulla politica che interviene solo quando accade qualcosa di tragico e di clamoroso, scordandosene un paio di giorni dopo. È certo importante presentarsi parte civile al processo, come dichiarato oggi dal Ministro delle Pari opportunità, ma questo non può bastare.
Il cosiddetto scontro di civiltà non è solo quello che si realizza tra immigrati e Occidente, ma viene tristemente declinato all’interno della stessa comunità musulmana, dove non esistono solo le normali tensioni tra generazioni, ma si scatenano profondi conflitti tra chi vorrebbe mantenere intatte certe tradizioni, i genitori, e chi esplode di libertà, i figli, È in seno alle comunità e ai loro ghetti che resistono le costumanze, i padri-padroni, l’imposizione del velo integrale e quant’altro l’Occidente fatica, giustamente, a comprendere.
Il problema è legato a due fattori concomitanti, consecutivi e vicendevolmente correlati: da una parte, il risveglio e l’avanzata di un certo estremismo che tende a immolare le donne per portare avanti una strategia politica ben precisa; dall’altro, il fallimento dell’integrazione che produce mostri come quello di Novi.
Perchè integrazione non significa giungere in un Paese straniero e perpetuare le proprie consuetudini, quanto piuttosto incontrare l’altro da sè, comprenderlo, apprendere le leggi che regolano la vita quotidiana del Paese che ospita, apprenderne la lingua, avere la curiosità e la voglia di rimettersi in gioco per arricchirsi, anzichè arroccarsi.
La Carta dei Valori, il documento promosso dall’ex ministro dell’interno, Giuliano Amato, nel 2007 attraverso il lavoro della Consulta, rappresentava l’avvio di una corretta strategia politica a sostegno degli immigrati e dello Stato italiano. Si trattava certo di un documento programmatico che sarebbe dovuto essere attuato attraverso provvedimenti politici, ma era già qualcosa di importante. Oggi, ahimè, la politica non ha fondi da investire in un piano Marshall per l’integrazione, poderoso, capace di affrontare il problema alla radice senza limitarsi a prenderlo per i capelli.
Se non esiste un reale e concreto impegno che vada in questa direzione, non otterremo alcun risultato e l’iceberg delle violenze in seno alle comunità, il livore verso la modernità, emergerà in tutto il suo dramma. Perché un certo estremismo investe milioni di dollari per scatenare una campagna di odio e istillare il sentimento del rifiuto del diverso, agendo attraverso membri di una rete del terrore, fisico e psicologico, calati nella comunità e inseriti nelle moschee-fai-da-te per seminare vento e tempesta.
Evitiamo buonismi: piuttosto rimbocchiamoci le mani e lavoriamo. Molti intellettuali moderati sono ormai ridotti al silenzio, minacciati, ricattati. Sono stanchi, hanno paura, si trovano ad agire senza mezzi sperando di non essere uccisi. E così uno a un certo punto si domanda: ma ne vale la pena? Con che Islam vogliamo dialogare? Se ad avviare il dialogo non ci sono riusciti nemmeno gli arabo-mulsmani, chi potrà farlo?
Vogliamo ancora trovarci sulla coscienza le nuove Hina Saleem o Sanaa Dafani, colpevoli di voler prendere sotto braccio la loro libertà? Se non ci sarà la volontà di integrare tutto questo, purtroppo, sarà solo l’inizio.