Nell’aprire i lavori della Conferenza episcopale italiana ad Assisi, il cardinale Bagnasco ha lanciato un invito che molto probabilmente sarà macinato nella grande macchina dell’informazione come il solito richiamo che ci si aspetta dai vescovi e dalla Chiesa cattolica. Nel migliore dei casi sarà sinceramente apprezzato come un’alta meditazione spirituale, destinata però fatalmente ad essere messa da parte nel momento in cui bisogna affrontare i problemi “veri” e “concreti” della crisi economica, della divisione del tessuto sociale, della confusione politica, degli scandali della vita pubblica e così via.



Ma se proviamo per un momento a sospendere questi automatismi ideologici e mediatici, ci rendiamo conto che qui si tratta di una posizione altra, tanto diversa rispetto alle categorie con cui normalmente percepiamo e giudichiamo la condizione critica che la società e la politica stanno attraversando, quanto sorprendentemente adeguata – starei per dire la più adeguata – nel dare espressione al bisogno più essenziale e all’attesa più urgente, anche se più nascosta, della gente.



La sfida è semplice ma decisiva, e può essere compendiata in una domanda che spiazza: com’è possibile pensare, progettare o anche aspettarsi un cambiamento degli assetti culturali e sociali, economici e politici, che non parta da un cambiamento di noi stessi? Pensiamo davvero che tutto dipenda dal fatto che le situazioni e le condizioni della vita comune cambino, senza che in tutto ciò sia toccata la nostra responsabilità personale? Abituati come siamo a considerare la vita degli uomini come l’esito meccanico di circostanze favorevoli e di strutture ben funzionanti, come una serie di diritti garantiti per via giuridica, non riusciamo più a renderci conto che in realtà è sempre vero il contrario.



Come tante volte abbiamo avuto modo di scoprire per esperienza diretta nei casi fortunati o sfortunati della nostra vita personale, ciò che fa la differenza è la posizione della nostra coscienza, la motivazione ideale che ci spinge ad affrontare le sfide del reale e il riconoscimento che c’è qualcosa per cui vale la pena “esserci” e costruire insieme agli altri.

 

E la prova evidente di questo sta nel caso contrario, quando cioè scopriamo che la perdita o lo smarrimento di una ragione adeguata e corrispondente al nostro cuore, in base alla quale rischiare nella vita, è la radice ultima – e questa sì davvero insuperabile – del nostro disimpegno, del distacco scettico e del risentimento inguaribile che ci fa pretendere dagli altri, o ci porta a richiedere allo Stato, ciò che non siamo disposti a rischiare noi stessi.

 

“La strada della conversione dei cuori e della vita” è “il centro pulsante di ogni vera riforma”, ha detto il cardinale Bagnasco riprendendo il messaggio inviato dal Papa per i lavori dell’Assemblea della Cei. Solo facendo “esperienza del bene” e cioè considerando come misura dell’azione non il mero calcolo tra azioni e reazioni, ma il desiderio del nostro cuore per il vero e il bello, può rinascere il senso di un bene comune, di una utilità non riducibile al nostro profitto, di un interesse che sia più grande dei giochi del potere.

 

Ma ciò che è più interessante in questo richiamo è il fatto che lungi dal farci evadere dalla grande battaglia che ciascuno è chiamato a combattere, dall’esperienza più quotidiana della vita familiare al problema del lavoro, dalle condizioni economiche precarie alla difesa dei propri diritti, esso ci permette invece di affrontarla con un’iniziativa personale e irriducibile. Rimette in campo nella grande macchina del mondo, che sembrerebbe farsi gioco di noi, il fattore apparentemente più fragile, ma in realtà più potente e decisivo, cioè la nostra libertà.

 

 

Solo che questa libertà, per mettersi in moto, ha sempre bisogno di una proposta, di un incontro, di un rapporto che le dia il senso e il compito. Per questo il problema fondamentale della crisi che stiamo vivendo è un problema educativo, e in quanto tale esso è già il primo momento in cui può riattuarsi oggi una responsabilità comune e un compito condiviso tra tutti i protagonisti della vita sociale. Come Benedetto XVI rilancia, si tratta di “chiamare a raccolta intorno alla responsabilità educativa tutti coloro che hanno a cuore la città degli uomini, il bene delle nuove generazioni”.

 

E se fosse il cuore dell’uomo il motore nascosto di tutto il sistema?