«I processi sulla strage di Brescia sono stati costruiti fin dall’inizio su una totale assenza di prove. E il risultato è stato uno spreco enorme di fondi pubblici e di tempo. In questi casi i pubblici ministeri dovrebbero avere il coraggio di non portare i processi fino al dibattimento». Ad affermarlo è l’avvocato Gaetano Pecorella, a poche ore dalla sentenza della Corte di assise di Brescia che ha assolto i cinque imputati Carlo Maria Maggi, Delfo Zorzi, Maurizio Tramonte, Francesco Delfino e Pino Rauti. Erano tutti accusati per la bomba lanciata durante una manifestazione antifascista organizzata dai sindacati, che il 28 maggio 1974 causò la morte di otto persone e il ferimento di altre 102. Pecorella è stato il difensore di Delfo Zorzi nel primo dei tre processi, e avvocato di parte civile durante il secondo processo. E ha analizzato quindi le «due facce della medaglia» di una delle vicende più cupe della storia italiana.



Avvocato Pecorella, che cosa ne pensa di questa sentenza?

Era evidente fin dall’inizio che si trattava di un processo senza prove, e lo avevano detto chiaramente fin dall’inizio sia il giudice per le indagini preliminari sia il tribunale del riesame, che si erano rifiutati di emettere il provvedimento cautelare per gli imputati. Ma si è voluto proseguire, anche in seguito al fatto che la Corte di cassazione a un certo punto ha deciso di riaprire la partita. E questo ha comportato un enorme spreco di tempo, soldi e una grande delusione per la città. Un processo del genere non lo si sarebbe nemmeno dovuto incominciare.



Perché ritiene che sia stato un processo senza prove?

Perché si è basato esclusivamente su dei collaboratori di giustizia che si contraddicevano totalmente tra di loro. Erano inattendibili, in alcuni casi le loro tesi sono state smentite dalle verifiche fatte. E quindi era impossibile ricavarne un indizio grave, preciso e concordante.

Allora perché tanto accanimento?

 

Talvolta si portano avanti dei processi politici, il cui obiettivo è dare una risposta politica all’opinione pubblica che cerca un colpevole. Ed è difficile che questi processi approdino a una qualche verità.



 

 

Gli investigatori si trovavano quindi in una situazione difficile…

 

Sì, ma i pubblici ministeri avrebbero dovuto avere il coraggio di non portare questo processo fino al dibattimento, anche a costo di resistere alle pressioni dell’opinione pubblica. Se i giudici hanno avuto il coraggio di assolvere, anche i pm potevano dimostrarsi ugualmente coraggiosi. Evitando così di creare delle inutili aspettative.

 

 

Ma lei in seguito è stato anche avvocato di parte civile…

 

Sì, rappresentavo alcuni sindacalisti, e alla fine ritenni che come accusatore non potevo presentare nessuna conclusione, soprattutto nei confronti di Andrea Arcai, proprio perché mi resi conto che anche il nuovo processo sulla strage di Brescia era stato costruito senza prove. Eppure anche quello è stato un processo lunghissimo, con interrogatori notturni che non finivano mai. E anche in quel caso si è chiuso con un nulla di fatto.

 

 

Difficile però accettare che i colpevoli rimangano impuniti…

 

Anche piazza Fontana è finito allo stesso modo, per non parlare della strage di Bologna, dove a distanza di anni alcuni dei condannati si sono professati innocenti. Processi così complessi non si possono risolvere attraverso un collaboratore impreciso o delle semplici ipotesi investigative. E a distanza di 36 anni, pretendere di trovare le prove o ascoltare un testimone è ormai praticamente impossibile.

 

 

Dunque lei non si è fatto un’idea personale sulla strage di Brescia?

 

Io non mi faccio delle idee. O ho le prove, oppure preferisco tacere.

 

 

Come valuta invece quel periodo da un punto di vista storico?

 

Con una situazione di continui attentati e tensioni sociali, chi può esserne stato il responsabile? La sinistra? La destra? La destra d’accordo con la sinistra? I servizi segreti? Siamo passati attraverso tutte le ipotesi possibili, pensi ad esempio a piazza Fontana. E’ facile fare delle ipotesi, ma è altrettanto facile costruire dei processi che finiscono nel nulla.

 

(Pietro Vernizzi)