Oggi, 20 novembre, si celebra la giornata mondiale dei diritti dei bambini. Ci viene un sorriso amaro. E non per l’ovvio motivo che infanzia è anche quella dentro il pancione e non gode proprio di nessun diritto. E nemmeno perché continuiamo a vedere i nostri bambini occidentali super viziati fare le boccacce perché “non gli piace il brodino”,mentre i loro coetanei in Gabon o in Mauritania muoiono di fame.



Ma perché nella nostra società il bambino semplicemente “non è previsto”; li vedete più in giro? Chiusi in casa, trasportati da una festa all’altra, che non giocano, ma “fanno sport”, che non spaccano legnetti o si insudiciano di fango per imparare dall’esperienza (e auto vaccinarsi dalle infezioni), ma sono schiacciati sotto il peso dei giochi intelligenti che servono (e così li freghiamo) ad imparare quello che gli adulti hanno deciso che devono imparare. Prima erano i padroni di piazze e strade; oggi neanche in casa loro possono toccare tutto.



Sorriso amaro: nati dopo essere passati al’analisi minuziosa del loro DNA (in Italia ad 1 su 4 gli è stato analizzato in pancia per vedere se era “come i genitori lo volevano”), non possono permettersi di sbagliare né l’ora di andare a letto, né il “numero di cereali di cui è fatta la loro merendina”, né il compito in classe a scuola: già, sono il sollievo dei genitori che li vedono non come un fatto naturale (che dunque può essere anche imperfetto) ma come ciò che deve realizzare i loro sogni repressi.

E allora devono fare la ballerina perché la mamma lo voleva tanto ma non ha potuto o il calciatore perché il papà ha il sogno dei soldi facili e pensa che quello sia il modo migliore per farli. E allora oscillano tra patologie psicologiche che hanno vari nomi: deficit dell’attenzione, sindrome del bambino-re, sindrome del sopravvissuto, che li faranno scontrare prima o poi tragicamente con la realtà, dato che prima o poi quel mondo incantato in cui sono imbacuccati si scontrerà con essa, e capiranno di non essere il centro dell’universo, con conseguente delusione e depressione.



Il bambino non è previsto perché la società occidentale è fatta solo per chi ha capacità di autodeterminazione, di autonomia, tanto che chi non l’ha, per i filosofi più di moda, non merita nemmeno di essere definito persona. E i bambini se vogliono sopravvivere (e non crollare sotto il senso di colpa di aver deluso i genitori) devono scimmiottare gli adulti: parlare di “fidanzatine” quando nemmeno sanno di cosa si tratta, cantare in TV solo improbabili storie d’amore invece che 44 gatti, essere curati e griffati nel vestire, diventando dei cartelli pubblicitari semoventi dalle cartelle ai cappelli dai pantaloni alle scarpe; e loro se ne accorgono, che pensate?

 

E soprattutto non vedere la realtà della vita: tabù la morte del nonno, tabù il cuginetto malato, tanto che in TV ci vanno solo quelli bellissimi e troppo spesso mascherati da bulletti o da baby dolls. E che nessuno si azzardi a parla loro di valori: questa è prima la generazione che combatte con la precedente non perché i vecchi (noi) hanno valori vetusti, ma semplicemente per questioni di soldi (lavoro, precariato).

 

Poveri bambini, figli di una generazione che gli ha insegnato a contare troppo presto per imparare presto a contare il soldo, che gli ha insegnato chi è Assurbanipal quando loro avrebbero voluto saltare da un albero all’altro: poveri bambini che avete imparato ad andare dal nonno malato solo dietro lauta ricompensa (salvo eccezioni, certo): poveri bambini, che arrivi anche per voi un incontro che vi insegni a ribellarvi alla schiavitù del relativismo.