Due città, due luoghi-simbolo laici, due religiosi a Nordest. Padova e Venezia, il Palazzo della Ragione e le torri industriali di Porto Marghera, la basilica del Santo e quella di San Marco. Diventati la clamorosa vetrina di una doppia protesta che sceglie di salire il più in alto possibile per farsi vedere da una platea di mass media patologicamente ripiegati sul niente della politica, sul chiacchiericcio del gossip, su temi di cartapesta così abissalmente lontani dalla vita di tutti i giorni: dai suoi problemi, dalle sue domande, dai suoi drammi. E per cercare, soprattutto, di farsi vedere dal Paese. Di spiegarsi. Di ottenere non aiuti, sussidi, finanziamenti: semplicemente risposte.



I protagonisti sono gli studenti universitari (ma con loro anche professori) da una parte, gli operai della chimica dall’altra. Hanno le loro ragioni; e non tutte sono buone ragioni o comunque condivise, d’accordo. Ma il problema vero non è schierarsi a favore o contro, né liquidare la faccenda a base di etichette di facinorosi. È capire attraverso quali percorsi due categorie che in tutto il mondo hanno sempre rappresentato l’innesco di una protesta diffusa, espressione di un malessere sociale ignorato o trascurato dalle classi dirigenti, siano arrivate fino a lassù; e perché ci sia bisogno di spingersi tanto in alto non solo nello spazio ma anche nella trasgressione, per riuscire a farsi notare, ascoltare, accettare come interlocutori.



Il messaggio che viene da quelle altezze è duplice. Ce n’è uno immediato: scelte concrete che vanno a incidere sulla vita delle persone, e che sono in larga parte dettate dalla crisi economica. La riforma universitaria ha pregi ma anche difetti: se a criticarla accanto agli studenti ci sono docenti e gli stessi rettori, qualche buona ragione ci sarà pure.

L’impatto di tagli e ristrutturazioni sull’industria sta colpendo lavoratori a decine di migliaia: sono magari scelte motivate, ma sta di fatto che tocca all’anello debole della catena pagare errori commessi dalla politica, dalla finanza, dal management. E c’è un messaggio di più lunga portata, altrettanto anzi più rilevante: da questa Italia politica, la società non sta ricevendo risposte, e si vede sprofondare in una zona grigia sempre più larga e inquietante, mentre i partiti litigano sul potere spicciolo.



Chi va in piazza o sale su torri e chiese va a segnalare, anche a nome dei tantissimi senza parola, la mancanza di qualsiasi prospettiva di futuro: al di là di come lo faccia, a volte in forme non condivisibili. Ma qui è questione di sostanza.

 

È indicativo che un simile fenomeno si manifesti con particolare intensità nel Nordest descritto fino al giorno prima come la locomotiva d’Italia, il boom del miracolo economico, l’area con tassi di disoccupazione giapponesi e con università di assoluta eccellenza, oltre che virtuose nel gestire i propri bilanci. Significa che il livello del disagio sociale sta salendo come quello della recente alluvione di cui si colgono ancora i segni; e può fare danni analoghi se non peggiori.

 

Sempre più spesso, nei cortei, si vedono insieme studenti e operai, arrabbiati gli uni e gli altri. Chi sa che anche impegnandosi negli studi dovrà comunque fare scelte di ripiego, e chi sta per perdere quel già risicato stipendio e quel sudato posto di lavoro, ha diritto quanto meno a essere visto. Possibilmente ascoltato. Magari risposto.