Oggi la Chiesa festeggia san Giovanni della Croce, uno dei più grandi mistici e insieme uno dei più grandi poeti della Spagna.

Nato vicino ad Avila, nella Vecchia Castiglia intorno al 1540, orfano di padre già in tenera età, si sposta di città in città con la  madre e studia in luoghi sempre diversi. Manifesta fin da piccolo l’inclinazione alla carità verso i poveri e alla preghiera contemplativa.  Falegname, sarto, pittore e intagliatore, infermiere, nel 1563 entra nell’Ordine Carmelitano, chiedendo di vivere senza attenuazioni la rigida e antica regola non più attuata.



Nel frattempo completa gli studi teologici e filosofici all’università di Salamanca, nel 1567 viene ordinato sacerdote e incontra Teresa d’Avila, impegnata nella riforma del Carmelo. Conquistato dalle sue idee riformatrici ne appoggia in pieno il progetto; a sua volta santa Teresa lo stima al punto di chiamarlo il suo piccolo Seneca, con affettuoso riferimento alla sua corporatura esile e lo definisce padre della sua anima. Dal 1568 al 1577 si prodiga per la riforma del Carmelo in vari monasteri dell’Ordine; tra le sofferenze fisiche e spirituali patite per la sua opera spicca l’arresto e la carcerazione nella prigione del convento di Toledo, per un incidente di cui venne ritenuto erroneamente responsabile.



Rimane rinchiuso per più di otto mesi, sottoposto a maltrattamenti e torture fisiche, psicologiche e spirituali, trovando lì l’ispirazione per comporre alcuni dei suoi poemi mistici più noti. Riesce a fuggire dalla prigione nel 1578 in modo assai avventuroso e riprende gradualmente  diversi incarichi importanti nell’Ordine Carmelitano riformato, che aveva acquisito progressivamente autonomia. Nell’ultimo periodo della sua vita viene abbandonato dalla maggior parte dei suoi seguaci. Nel 1591, dimesso dalle funzioni direttive nell’Ordine, si reca ammalato  ad Ubeda, dove trascorre gli ultimi mesi e muore all’età di 49 anni.



Il Cinquecento è in Spagna il tempo delle conquiste: la ricerca della grandezza connota il secolo delle navi e dell’oro; sia che si proiettino verso la distesa del mare alla ricerca della gloria, sia che si impegnino alla conquista dell’amore di Dio attraverso la nudità della clausura, gli uomini non si accontentano di una vita grigia. Nella poesia stessa di san Giovanni della Croce sono presenti immagini che richiamano l’avventura dei suoi contemporanei alla conquista delle Indie, segno di quanto la mistica si situi al cuore dello sforzo umano attivo, non relegando affatto l’anima in un limbo disincarnato e astratto. Ne è un esempio un brano tratto dal Cantico spirituale, dialogo poetico modellato sul Cantico dei Cantici tra l’anima che ama, la sposa, e l’oggetto d’amore, lo sposo.
 

L’Amato è le montagne,
le valli solitarie e ricche d’ombra,
le isole remote,
le acque rumorose,
il sibilo dell’aure amorose;

è come una notte calma
molto vicino al sorger dell’aurora,
musica silenziosa,
solitudine sonora,
è cena che ristora e che innamora.

Il poeta paragona Dio agli aspetti più suggestivi di una natura misteriosa e segreta. L’immagine delle isole remote richiama l’attrattiva suscitata in quel secolo da terre lontane e sconosciute, verso le quali si imbarcavano frotte di uomini avidi di ricchezza, ma anche spinti dallo slancio della missione. Cercarlo con tutta la vita, dice san Giovanni della Croce, non è diverso che aspettare l’alba dopo una notte calma sul mare.

Se nell’Europa medievale e contadina si usava l’espressione deserta petere per indicare la ricerca di Dio, ora in un tempo diverso è l’ignoto che attrae e il poeta cerca le immagini più suggestive e le parole meno inadeguate per avvicinarsi alla misteriosa realtà del vero Bene.