«Di fronte alle degenerazioni violente delle manifestazioni studentesche, genitori e professori hanno una grandissima responsabilità». Lo afferma Marco Boato, politico dei Verdi e parlamentare per cinque legislature, dopo essere stato uno dei fondatori di Lotta Continua e tra i leader della contestazione del ’68. Intervistato da ilsussidiario.net alla vigilia dei cortei previsti per oggi in tutta Italia, Boato sottolinea che «quella che emerge è la profonda immaturità, politica e persino psicologica, dei ragazzi che vedono nei poliziotti soltanto dei nemici da abbattere. Spesso senza sapere nemmeno i contenuti della riforma Gelmini contro la quale scendono in piazza». Quello delineato da Boato, in esclusiva per i nostri lettori, è un vero e proprio identikit dei gruppi antagonisti, in grado di strumentalizzare ed egemonizzare la maggioranza degli studenti con l’unico scopo di fare scorrere il sangue e innescare una spirale di violenza.
Onorevole Boato, di fronte agli studenti che scendono in piazza a protestare quale deve essere il ruolo di professori e genitori?
I professori hanno una grandissima responsabilità, perché hanno a che fare direttamente con gli studenti, li conoscono uno a uno per nome e cognome. Anche per questo devono avere la possibilità di trovare delle occasioni di discussione con i ragazzi, durante le ore di lezione o fuori. E la stessa grande responsabilità è condivisa anche dai genitori degli studenti. Quanto sta accadendo in questi giorni, come le manifestazioni di piazza, li mette di fronte al fatto che i loro figli sono diversi da quello che si aspettavano. E questa è una grande occasione. Soprattutto se riescono a instaurare un rapporto di dialogo con i figli, che non è facile, specialmente a quell’età, in cui un ragazzo diventa adulto e non vuole imposizioni dai genitori. Ma nelle famiglie un rapporto di dialogo, di discussione, di reciproca narrazione, con madri e padri che raccontano le loro esperienze ai figli, sarebbe un fatto in grado di produrre enormi cambiamenti. I muri tra generazioni al contrario creano effetti devastanti.
Finora i commentatori si sono divisi tra quanti esaltavano e quanti condannavano le proteste a prescindere. Lei come le vede?
Le manifestazioni non vanno beatificate o santificate, ci sono anche forme di ingenuità, a volte di ignoranza da parte degli studenti. In molti vanno a manifestare contro la riforma dell’università e magari non hanno neppure letto il testo della legge. Quando nel ’68 scendevamo in piazza contro la riforma del ministro Gui, io al contrario non solo l’avevo letta, ma anche studiata e sapevo perché non ero d’accordo, come molti altri miei compagni. Dentro ai movimenti collettivi di oggi vedo invece anche molta ingenuità e ignoranza, pur tra altri aspetti positivi. Il problema è che chi è più maturo, e guida la protesta, deve essere più responsabile degli altri. Assumendosi anche la capacità di confrontarsi sui contenuti, e non soltanto sugli slogan. E qui il rapporto con genitori e professori diventa fondamentale.
Ma chi sono veramente i violenti che il 14 dicembre scorso hanno messo Roma a ferro e a fuoco?
Premesso che erano una minoranza, alcune centinaia di studenti su 20-30mila manifestanti, è abbastanza facile fare il loro identikit. Sono dei professionisti della violenza, persone più o meno giovani, che includono teenager ma anche 30-40enni con esperienze di guerriglia urbana accumulate nei decenni scorsi. Nel ’68 e nel ’77 sognavano la rivoluzione, oggi si definiscono semplicemente «antagonisti». Sono dei gruppi organizzati, non dei generici centri sociali, ma alcuni particolari centri sociali o circoli anarchici che si infiltrano nelle manifestazioni cercando di organizzare gli scontri, facendo trascendere i cortei sul terreno della violenza politica. Escluderei che questi gruppi provengano dall’estero, a Roma di sicuro tranne sporadiche eccezioni non c’erano stranieri.
E da chi sono composti questi gruppi?
Da persone che, pur non credendo più nelle ideologie tradizionali degli anni ’60, aderiscono a forme ideologiche dell’estrema sinistra, non solo estraparlamentare ma antiparlamentare. Individui quindi che non credono nel dissenso pacifico, non credono nel confronto e nel dialogo, ma semplicemente nello scontro frontale con lo Stato. La cosa penosa è che poi questo si traduce negli attacchi ai poliziotti, che non sono altro che uomini comuni con famiglia, figli, moglie come tutti, e che magari votano pure per il centrosinistra. E’ un segno di grandissima immaturità, politica e persino psicologica, vedere in questi uomini in divisa i nemici da sconfiggere e abbattere, mentre sono solo operatori dello Stato chiamati a governare l’ordine pubblico. Ma l’unico risultato che vogliono ottenere gli antagonisti è far degenerare le manifestazioni in modo violento e far parlare in tutto il mondo di camionette incendiate, feriti e arrestati, e non dei contenuti di critica al governo o alla riforma dell’università.
Ma non c’è il rischio che chi scende in piazza a manifestare condivida almeno in parte il punto di vista dei black bloc?
No, le manifestazioni studentesche degli ultimi mesi sono state sempre pacifiche, con l’unica eccezione dei fatti di Roma del 14 dicembre scorso. E anche in quel caso è stata una piccola minoranza agguerrita a scatenare la guerriglia urbana. Questo non toglie che quanto avvenuto sia molto grave e sbagliato. Episodi di questo tipo rischiano di innescare – e spero che non succeda domani (oggi, ndr) – una spirale di violenza politica, repressione, scontri più duri, repressione ancora più dura. Una spirale di sangue che porterebbe al suicidio politico del movimento studentesco, che pure si è sviluppato con motivazioni reali e autentiche. Il rischio è che ciò avvenga proprio domani (oggi, ndr).
Che cose le insegna in questo senso la sua esperienza?
Ricordo esattamente la manifestazione di Roma del 12 marzo 1977, quando un gruppetto di persone con passamontagna lanciò delle molotov contro i carabinieri trasformando in guerriglia urbana quello che fino a pochi istanti prima era un corteo pacifico. Ne fui personalmente disgustato. Lucia Annunziata afferma sul Corriere della Sera che non è immaginabile un paragone tra quanto sta avvenendo in queste settimane e il ’77. Non concordo con lei, anche se il contesto ideologico è differente. Da quello che ho visto e vissuto, credo che sia possibile compiere un parallelo tra il ’77 e quanto è successo il 14 dicembre scorso a Roma. Il meccanismo è lo stesso, e anche il contesto sociale ed economico di oggi è molto simile a quello di allora. Ho vissuto sulla mia pelle la degenerazione del movimento studentesco con tutto quello che ne è seguito, rovinando la vita di molte generazioni. E spero che non si ripeta.
(Pietro Vernizzi)