Qualche settimana fa un bambino all’asilo ha osato dire alla maestra che Babbo Natale non esiste. La maestra, preoccupata che con le sue esternazioni il piccolo turbasse gli altri bambini, ha subito convocato la mamma. Nulla di grave, se non il fatto che questo può essere considerato un esempio del clima culturale in cui viviamo e in cui si vuole far prevalere, nel cervello e nel cuore di grandi e piccini, il mito sulla realtà. In una battuta: Babbo Natale sta tentando di uccidere Gesù Bambino.
Eppure, anche il vecchio ciccione vestito di rosso ha origini reali. Come si legge su Wikipedia, tutte le versioni del Babbo Natale moderno derivano dallo stesso personaggio storico, il vescovo San Nicola di Myra (antica città dell’odierna Turchia), di cui si racconta che esortò i parroci della sua diocesi perché andassero a spiegare ai bambini che non avevano la possibilità di recarsi in chiesa anche a causa del freddo invernale, chi fosse Cristo e che cosa avesse fatto per l’intera umanità. I parroci, portando con loro un sacco pieno di regali, raggiungevano i bambini mediante alcune slitte trainate da cani (e non renne).
Su questa origine cristiana si innestano numerose leggende e miti del folklore religioso e pagano di tutti i tempi e le nazioni: per i tedeschi Babbo Natale diviene Odino; per gli islandesi, una schiera di folletti; per gli inglesi, lo Spirito del Natale; per gli olandesi, Santa Claus, personaggio fantastico che ricorda il vescovo turco; per americani e canadesi, Santa, vecchio che dimora al Polo Nord, proprietario di una enorme fabbrica di giocattoli che distribuisce in tutto il mondo a Natale…
Fin qui tutto bene: chi di noi non ha amato e non ama le fiabe che, da che mondo è mondo, esprimono in modo figurato i più grandi desideri e aspirazioni degli uomini? Queste rappresentazioni fiabesche sono tutte associate a entità “buone” che distribuendo doni, esortando all’altruismo, dirimendo magicamente controversie apparentemente irrisolvibili, possono in qualche modo rappresentare quella positività, fratellanza, bontà, portata realmente e storicamente nel mondo dal “mite agnello redentor” cantato dalla famosissima canzone natalizia Astro del Ciel.
Del resto, per mostrare come Gesù Bambino sia la risposta a questo desiderio di bontà, giustizia, bellezza insito nel cuore dell’uomo, cantato nelle Egloghe di Virgilio ed espresso anticamente nella festa pagana del Sole, la Chiesa ha fissato proprio in quel giorno la data del Natale. Ma questo è il punto: l’orgia di renne parlanti, slitte che volano, barbe bianche, sacchi di doni, camini popolati, buonismo a go go che impazza in telefilm, film, canzoni, lavoratori interinali travestiti da Santa ai supermercati, maestrine diligentemente allineate alla moda, cercano di trasformare la realtà in leggenda e la fiaba in realtà.
I bambini risolvono la cosa pensando che Babbo Natale sia il nonno o lo zio anziano di Gesù bambino, ben felici che vi siano due entità, anziché una, a distribuire regali in un mondo in cui la casa di Babbo Natale e la grotta di Betlemme, Biancaneve e la Madonna, Disneyland e il Paradiso, si affollano e si confondono; gli adulti sono contenti di partecipare a una bella fiaba fingendosi convinti che ciò che conta è quello che ripeteva mia nonna quando litigavo in famiglia il 25 dicembre: “Almeno a Natale siamo buoni!”.
Il problema non è nemmeno l’operazione consumistica della Coca Cola che negli anni ‘30 si è impossessata di Babbo Natale cambiandogli la casacca da verde a rossa. Il punto è, per noi cristiani, la perdita dell’origine fattuale e storica della nostra fede. Di fronte ai mali del mondo e nostri, di fronte alla «“crisi dell’umano”, che si documenta come stanchezza e disinteresse verso la realtà e che coinvolge tutti gli ambiti che hanno a che fare con la vita della gente», come dice Julián Carrón nell’articolo sull’Osservatore Romano del 23 dicembre, riconoscendo il Natale come fatto storico potremmo cogliere l’affascinante sfida del Dio che si fa uomo: «Guarda un po’ se, vivendo a contatto con me, trovi qualcosa di interessante che rende la tua vita più piena, più grande, più felice. Quello che tu non sei capace di ottenere con i tuoi sforzi, lo puoi ottenere se mi segui».
Per cui, di fronte al tentativo usurpatore del ciccione barbuto vestito di rosso che vola in slitta-jet rischiando di scontrarsi con Superman, più che indignarsi contro il consumismo che avvolge tutti e contro il ritorno al paganesimo c’è da chiedersi: ma non è che anch’io sto vivendo il Natale 2010, segno e memoria di un fatto che riaccade oggi, come il simbolo di un’ “isola che non c’è”? Anche perché solo ricommuovendosi come i pastori e i magi 2000 anni fa, come San Francesco nel 1223 a Greccio di fronte al presepe, come i semplici di tutte le epoche di fronte al vangelo di Luca, posso sperare che altri, vedendo il mio stupore, il mio desiderio rinato, possano riaccorgersi che Gesù Bambino è tornato anche quest’anno e abita realmente in mezzo a noi.