Padre e dottore della Chiesa, Sant’Ambrogio è celebrato oggi da tutte le chiese cristiane. Nato a Treviri tra il 339 e il 340, e morto nella notte tra il 3 e il 4 aprile del 397, fu vescovo di Milano, scrittore, riformatore liturgico e uomo politico. E proprio dalla politica nacque il suo impegno pastorale. Avviato alla carriera amministrativa sulle orme del padre, si distinse, come governatore dell’Italia settentrionale per le sue doti diplomatiche, che gli valsero un ruolo di fidato consigliere dell’imperatore Valentiniano. In grado di dirimere le controversie tra cattolici e ariani, dei quali diventerà uno strenuo oppositore, diventerà vescovo di Milano per acclamazione, nel 374, alla morte del predecessore Aussenzio, quando con fermezza e grandi abilità oratorie riuscì a convincere la popolazione a desistere dalla faide intestine per stabilire il prossimo vescovo. Non ancora battezzato, nonostante la fede cristiana, si professò indegno, tentò addirittura di fuggire. A nulla valsero i suoi sforzi. Dopo una settimana venne battezzato e ricevette l’ordinazione episcopale. Intraprese uno stile di vita ascetico, donò tutto ai poveri e si dedicò allo studio delle sacre scritture, della liturgia, della teologia e dei Padri della Chiesa, tra i quali sarebbe stato annoverato in seguito assieme al suo discepolo, Sant’Agostino.



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Si caratterizzò per la sua netta condanna dell’l’arianesimo, cosa che gli valse numerosi contrasti con la corte imperiale, di tendenze filo-ariane, e per la sua teorizzazione della superiorità del potere spirituale rispetto all’autorità politica. «L’Imperatore è nella Chiesa, non al disopra della Chiesa», è una delle sue massime più note, come è noto l’episodio in cui costrinse l’Imperatore Teodosio alla pubblica penitenza. Quando, infatti, nel 390 l’imperatore ordinò un massacro tra la popolazione di Tessalonica, perché aveva linciato il capo del presidio romano della città, il vescovo di Milano gli impose una "penitenza pubblica", escludendolo dalla partecipazione ai riti sacri. Al contempo, Ambrogio sostenne la superiorità del vescovo di Roma sugli altri vescovi, in virtù del primato petrino. Scrisse innumerevoli opere di dogmatica e morale, e incise profondamente sulla liturgia della chiesa.



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