In Irlanda, di questi tempi, viene spesso da pensare che i vertici della Chiesa cattolica abbiano capito poco della cultura alla quale devono rivolgersi. Questa settimana, i vescovi irlandesi si sono recati in Vaticano per discutere con il Papa e i suoi collaboratori della crisi che continua a sconvolgere la Chiesa irlandese, una crisi descritta in termini espliciti da una serie di relazioni governative su abusi sessuali da parte del clero e sulla loro copertura da parte delle gerarchie ecclesiastiche. La sensazione è che non ci si sia resi conto delle conseguenze ovvie e inevitabili di questo incontro.



Commentando la visita, i media irlandesi hanno pubblicato foto dei vescovi sorridenti attorno al Papa prima dell’incontro e, lunedì scorso, The Irish Times riportava in prima pagina la foto del vescovo Drennan di Galway che si inchinava per baciare l’anello del Papa. Il vescovo Drennan è diventato famoso in Irlanda per il suo rifiuto a dimettersi, malgrado una intensa campagna mediatica, dopo che il rapporto Murphy lo aveva accusato di essere tra quelli che non avevano agito contro chi aveva commesso abusi sessuali.



Insomma, l’incontro di questa settimana sembra essere stato pianificato male e gestito altrettanto male. Apparentemente, i partecipanti non hanno capito quale fosse il tono da dare all’incontro, o cosa si aspettavano in Irlanda i media, il pubblico e le vittime degli abusi del clero.

A pochi minuti dall’uscita del comunicato stampa sull’incontro, i media irlandesi avevano già deciso la sua inadeguatezza: non vi erano scuse alle vittime e non c’era nessun riconoscimento della complicità di alti esponenti ecclesiali nel coprire questi fatti. In realtà, si è detto, il Papa “si è lavato le mani” di fronte agli scandali. L’enfasi della dichiarazione sulla ricostruzione della Chiesa, si è asserito, dimostra come non sia stata compresa la più urgente necessità di risarcimento ed espiazione. In altre parole, una farsa.



 

Schiere di rappresentanti dei gruppi che sostengono le vittime hanno affermato di essere stati ancor più feriti dalla dichiarazione e che si sarebbero aspettati che il Papa venisse in Irlanda per chiedere personalmente scusa alle vittime o che, quantomeno, avesse invitato rappresentanti delle vittime a Roma per incontrarlo. Inoltre, si sono detti sgomenti per il fatto che il problema delle dimissioni non fosse all’ordine del giorno e che il Vaticano avesse rifiutato ogni colpevolezza. Un quotidiano irlandese, The Examiner, si è fatto portavoce di queste reazioni titolando: “Intonaco Papale”.

 

Sono stati anche ridotti al silenzio i tentativi di esponenti ecclesiastici di chiarire che questa era solo una fase del processo per giungere alla preannunciata lettera pastorale del Papa. I portavoce della Chiesa hanno evidenziato la formulazione della dichiarazione, in cui si afferma senza giri di parole che l’abuso sessuale di minori è “non solo un odioso crimine, ma anche peccato mortale”. Invano. Pensa forse il Papa che una lettera pastorale possa curare il danno provocato alle vittime degli abusi? Uno sfortunato corrispondente dal Vaticano che tentava di descrivere in una trasmissione radio la questione dal punto di vista della gerarchia, si è sentito urlare contro da una delle vittime: “La smetta di parlare così, mi sta facendo del male!”.

 

La notizia della lettera pastorale è stata accolta freddamente dalle vittime e dal pubblico in generale. Nonostante si tratti di un intervento eccezionale, finora verificatosi solo due volte, nel 1937 per la Germania e qualche anno fa per la Cina, non viene ritenuto idoneo ad affrontare il problema della responsabilità della Chiesa verso il potere civile. Tema questo, che sia le vittime che i media vorrebbero porre al centro di un’azione legale. Sono stati commessi crimini che poi sono stati coperti e questa è la questione che la Chiesa deve sistemare prima di affrontare riorganizzazioni interne o il malessere spirituale. Se questo sia vero o no, poco importa: è quanto è stato detto, ora dopo ora, giorno dopo giorno.

 

Un osservatore oggettivo dovrebbe ammettere che è probabilmente impossibile per il Papa trovare parole che soddisfino sia l’acuita sensazione di dolore delle vittime, sia l’ostilità pubblica montata dai media. Anche se, nell’atmosfera di orrore provocata dai fatti riportati nei rapporti Ryan e Murphy, è difficile raccogliere un qualche sostegno a questo problema della Chiesa.

 

 

I fattori in gioco sono molti. Il primo è naturalmente l’enormità del dolore inflitto a così tante persone dagli abusi, a livello individuale da preti pedofili e sul piano generale da tutti coloro che non hanno preso posizione in tempo o hanno tentato di affrontare il problema a porte chiuse.

 

Poi ci sono i giornalisti che, nei loro resoconti, creano il caso e emanano verdetti. Sui media irlandesi ogni giorno è in atto una guerra.

 

Le vittime degli abusi a partire dagli anni ’50 sono al centro della scena e sono usati da una parte dei media per cercare di porre fine definitivamente al cattolicesimo irlandese. Tuttavia, è praticamente impossibile controbattere, perché, ogni volta che si presenta l’opportunità di affrontare la questione in modo globale e coerente, i vertici ecclesiastici fanno qualche pasticcio.

 

Da quasi due decenni, la Chiesa in Irlanda è in una posizione difficile, avendo subito un drammatico calo di influenza e credibilità. La crisi attuale inizia, più o meno, con un evento che ora appare perfino di minore importanza: le dimissioni del vescovo di Galway, nel 1992, a seguito della notizia di aver avuto un figlio da un’americana. Si è poi continuato, infatti, con scioccanti rilevazioni attorno ad abusi sessuali su minori da parte di un pugno di preti e a diffusi e sistematici maltrattamenti in istituti per la delinquenza giovanile controllati dalla Chiesa.

 

Tutto ciò ha portato a una perdita di fiducia in molti cattolici, non solo giovani, che si sono allontanati disillusi, o che si sono ritirati in una dimensione di pratica religiosa privata, scandalizzati dalla elusività e dissimulazione della Chiesa istituzionale.

 

In verità, questo tirarsi indietro, oltre che nei fatti specifici riguardanti i comportamenti nei confronti dei minori, è radicato altrettanto in una questione generale di fede e spiritualità. Il cattolicesimo irlandese aveva già da tempo cessato di offrire una versione coerente del cristianesimo a generazioni che aveva esso stesso educato facendole uscire dalla povertà e dall’ignoranza. Malgrado le ferventi dimostrazioni di devozione durante la visita di Giovanni Paolo II nel 1979, il destino era già scritto.

 

 

Pur parlando ormai a una delle popolazioni meglio educate del mondo, la Chiesa cattolica irlandese ha continuato a proporre quel limitato e semplicistico moralismo che aveva promosso nei giorni bui dell’Irlanda del dopo carestia. Una religiosità, cioè, essenzialmente fondata su regole e timore, non in grado di impegnarsi produttivamente con le libertà a disposizione delle generazioni nate dopo la metà del ventesimo secolo.

 

Gli scandali dagli anni ’90 in poi hanno fornito a queste generazioni, perciò, l’alibi perfetto per rifiutare la Chiesa e tutto ciò che ha rappresentato, esponendo il cattolicesimo irlandese all’accusa di totale ipocrisia e consentendo a molti dei fedeli di abbandonare certe parti ritenute scomode dell’insegnamento della Chiesa.

 

In queste reazioni vi sono naturalmente anche elementi di non sincerità.

 

Le notizie di abusi sessuali da parte di preti sono state senza dubbio sconvolgenti per molti, ma pochi possono dire di essere stati completamente all’oscuro delle situazioni descritte nel rapporto Ryan dell’anno scorso, relative ai maltrattamenti di minori negli istituti gestiti da organizzazioni ecclesiastiche. Questo fatto, tuttavia, lungi dall’alleviare la situazione della Chiesa, l’ha peggiorata.

 

La società è alla ricerca di facili capri espiatori di un fenomeno culturale in cui sono coinvolti molti altri soggetti – giudici, poliziotti, assistenti sociali, etc. – che ora cercano di cancellare il proprio ruolo. Fino a quando la Chiesa rimarrà al centro dell’attenzione, gli altri responsabili potranno evitare l’ira di una società che cerca di liberarsi della vergogna e del senso di colpa, manifestando scandalo ai limiti più estremi.

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