Il 9 febbraio dell’anno scorso Eluana Englaro si spegneva nel suo letto all’interno della casa di riposo “La Quiete” di Udine. Diciassette anni prima un incidente aveva cambiato la sua vita e quella dei suoi familiari, costringendola in un letto d’ospedale, alimentata da un sondino. La battaglia legale vinta dal padre per interrompere l’alimentazione aveva angosciato e diviso il Paese, in un dibattito spesso aspro di cui è ancora vivo il ricordo. Nel primo anniversario della morte Mons. Rino Fisichella torna per ilsussidiario.net su quella vicenda e sulle conseguenze che ne sono derivate.



Cosa ha significato la tragedia umana di Eluana Englaro per il nostro Paese?

La vicenda di Eluana Englaro è una pagina molto triste della nostra storia. Una ragazza gravemente malata, ma viva, è stata privata dell’alimentazione, disidratata, esposta, contrariamente a quanto si dice, a grandi sofferenze e condotta alla morte. Una storia resa ancor più triste dalla strumentalizzazione politica a cui è stata sottoposta questa vicenda umana. A livello giuridico dovremmo aver imparato che in un Paese democratico il vuoto legislativo non si riempie attraverso le sentenze, ma attraverso l’azione peculiare del Parlamento, che deve intervenire senza pressioni, per giungere a soluzioni condivise.



Quali conseguenze ha portato con sé quello che è accaduto?

Questo fatto ha lacerato il nostro tessuto sociale, soprattutto perché la popolazione non è stata informata in maniera corretta. Ed è evidente che se l’informazione non è coerente con le conoscenze a disposizione il giudizio delle persone cambia. In questi giorni i mezzi di comunicazione danno finalmente spazio a una notizia scientifica importante. In Belgio, alcuni medici hanno dimostrato la possibilità di verificare l’attività cerebrale, anche se minima, delle persone che si trovano in uno stato cosiddetto vegetativo, termine che, tra l’altro, non mi sembra corretto.



Perché?

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È un’espressione non conforme all’oggettività dei dati clinici, è falsificante e fuorviante. Le persone in questo stato, a diversi livelli, hanno una propria consapevolezza e un’attività celebrale, di conseguenza meritano rispetto per la loro dignità di persone. Tornando alla notizia di prima dispiace che alcune voci, anche se provengono dalla scienza, in alcuni momenti vengano messe sotto silenzio.

Ma cosa risponde la Chiesa alla richiesta di autodeterminazione di chi non crede e vuole decidere della propria vita e della propria morte?

Non è tanto la Chiesa a rispondere, è il diritto stesso a farlo. Il principio di autodeterminazione è una pia illusione, non esiste, non trova alcun riscontro nel sistema legislativo perché si scontra con altri due principi fondamentali: l’inviolabilità e l’indisponibilità della vita. Il sistema giuridico, è bene ribadirlo, non nasce per dare la morte, ma per difendere la vita. Questa pretesa è in contraddizione, tra l’altro, con una sempre più crescente cultura della vita che si sta diffondendo tra i cittadini e gli stati per impedire ad esempio la pena di morte.

Come si spiega questa contraddizione?

A fondamento di questa pretesa c’è una visione antropologica incapace di accettare la sofferenza, o meglio, di dare senso alla sofferenza. Una cultura incapace di questo è una cultura immatura, non in grado di avere una visione globale, integrale della vita.

Nella sua prolusione al Consiglio permanente della Cei il cardinal Bagnasco ha detto che «nei delicati equilibri dell’ecologia umana rientra anche la bioetica», ponendo l’attenzione su Ru486 e fine vita. Qual è la sua “lettura” di queste sfide?

Nei prossimi decenni il legislatore, la società e la Chiesa si troveranno sempre più a confrontarsi e a scontrarsi con problemi di ordine bioetico. Tutto ciò è inevitabile per il progresso della scienza (medica e genetica) che potrà offrire orizzonti positivi, nuove risposte al dolore e alla malattia. Allo stesso tempo però aprirà scenari nuovi, che in parte iniziamo a conoscere e che toccano la vita umana nascente, embrionale, sulla quale si iniziano a ipotizzare inquietanti processi di selezione della razza.

Davanti a queste prospettive quali sono le responsabilità della politica?

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La responsabilità della politica davanti alla bioetica corrisponde a una nuova lettura antropologica. Siamo chiamati a incontrarci con queste sfide sulle quali costruire una nuova antropologia, che dia maggiore spazio alla razionalità e trovi fondamento (come accadeva già prima che ci fosse il Cristianesimo) nella legge naturale. Per non cadere in una sorta di stato etico il legislatore deve riconoscere, e non stabilire, un fondamento nella natura. Sono i fondamenti etici che in qualunque cultura, pur nelle differenze delle religioni, sono presenti come legge morale naturale.

I cattolici in politica hanno una responsabilità in più in questo senso?

I cattolici hanno un grande compito: creare il più possibile consenso intorno a delle tematiche che proprio, perché vengono ritrovate e scoperte nel loro fondamento etico di una legge naturale, sono patrimonio di tutti al di là delle differenze culturali, religiose e politiche che si vengono a creare successivamente.

Alla luce del suo discorso, come si dovranno orientare i cattolici chiamati al voto nelle elezioni che si svolgeranno tra poco più di un mese?

Non voglio intervenire direttamente su questo tema, ma sono convinto che i cattolici, e non solo loro, siano in grado di mostrare maturità davanti ai programmi e ai candidati. La difesa della vita in tutte le sue manifestazioni, dal suo inizio fino alla sua fine naturale, deve comunque trovare i cattolici in primo piano, coscienti della grande responsabilità che portano con sé nella difesa di questi principi.


Da ultimo, anche l’Italia, sia pure in misura minore rispetto ad altri paesi, sta soffrendo la crisi economica e il grave rischio per la disoccupazione. Quali sono le prime energie che il paese deve mobilitare per uscire dalla crisi?

Credo che il Papa ci abbia dato un insegnamento lineare e profondo, apprezzato anche dai non cattolici, nella usa ultima enciclica di carattere sociale, Caritas in Veritate. Ancora una volta il Papa ha individuato quello che è l’insegnamento della Dottrina Sociale della Chiesa: al centro deve esserci la persona. Quando la persona è messa al centro, che sia un dipendente o un imprenditore, sono convinto che sia possibile trovare la strada per una soluzione che sia realmente giusta.

(Carlo Melato)

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