Una clinica di Londra, il Bridge center, specializzata in fecondazioni artificiali, ha deciso di mettere all’asta un ovulo – di provenienza selezionatissima e certificata, stando a quanto si apprende – per eludere la legge inglese che ne vieta la donazione.
Ma come? Con un metodo molto curioso e che non mancherà certo di far discutere aspramente: una vera e propria “lotteria degli ovuli”. La vincitrice di questo discutibile concorso potrà scegliere tra un parco di donatrici americane, attraverso schede che contengono le loro caratteristiche personali, razziali, genetiche e intellettive.
Si recherà poi negli Usa, in Virginia, in un’altra struttura “gemellata” con il Bridge Center, dove subirà il trattamento di fecondazione in vitro e potrà avere il figlio con alcune caratteristiche predeterminate (il cosiddetto “baby profiling”).
Le due cliniche hanno comunque in mente di portare avanti la loro collaborazione in maniera più continua, andando oltre a questa “riffa”. Abbiamo chiesto a Gianfranco Amato, avvocato bioeticista ed esperto del mondo anglosassone, un commento su questa vicenda.
Dottor Amato, innanzitutto le chiederei un commento su questa “lotteria”
Direi che si tratta di una “lotteria” più per le donatrici che vengono scelte: non tutte riceveranno il “premio”. Solamente chi verrà selezionata dalla vincitrice avrà diritto al compenso economico. Si tratta quindi di un commercio che oltretutto genera una discriminazione sociale. È un business cui possono accedere solo le donne ricche inglesi.
Al di là del biglietto di questa riffa, per scegliere l’ovulo che si desidera e andare negli Stati Uniti a effettuare la fecondazione in vitro si spendono infatti cifre intorno ai 10-15mila euro.
Dall’altra parte vi sono ragazze americane che, per avere i soldi necessari a finire gli studi o per altre necessità (specie in questo periodo di crisi), vendono i loro ovuli nella speranza che vengano scelti. Le femministe dovrebbero inorridire per questo sfruttamento. La creazione della vita è un mistero: volerla banalizzare o mercificare può avere conseguenze inimmaginabili.
Conseguenze anche per la salute delle donne coinvolte?
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Ci sono dei rischi di salute che riguardano in particolare le donatrici. In primis perché sono sottoposte a un bombardamento ormonale per stimolare la produzione di ovuli. Poi l’operazione per estrarre gli ovuli può avere conseguenze disastrose.
C’è stato un caso in cui una ragazza, per le conseguenze di questa operazione, ha dovuto poi farsi asportare le ovaie. Ve ne sono tante altre che nel corso degli anni hanno patito conseguenze psicologiche: o si sono pentite o volevano a tutti i costi sapere dove fossero finiti i loro ovuli, se fossero diventanti bambini e nel caso come poterli contattare.
Le donne che invece ricorrono alla fecondazione in vitro vanno incontro a rischi già noti di questa pratica.
Ci sono differenze tra questa pratica e la classica donazione degli organi?
Qui non si tratta di una donazione di un organo come nel caso di un rene. Prima di tutto perché c’è uno sfruttamento economico. Poi perché donare gli ovuli è una pratica vietata in tutta Europa, ed è per questo che si va negli Stati Uniti: lì non esiste il divieto. Infine perché il ricevente può scegliere il donatore. Per tutte queste ragioni è assurdo parlare di “donazione”.
Di per sé i viaggi all’estero per aggirare i divieti sulla fecondazione o su altre tecniche scientifiche non sono una novità. Perché allora tanto scalpore questa volta?
La novità sta nella cosa che è la più scandalosa della vicenda. In soldoni, si tratta di un commercio di esseri umani: si vogliono vendere dei bambini. Noi tutti ci scandalizziamo quando sentiamo casi come quello recentissimo di una bambina rom venduta per 200.000 euro. Perché invece il commercio di ovuli non indigna nessuno?
Si tratta di potenziali essere umani e il fatto che dietro a questa pratica vi sia il business è davvero disdicevole.
C’è qualche differenza con il fenomeno delle banche del seme?
In realtà con la banca del seme oggi non è teoricamente possibile scegliere il donatore. Inoltre donare il proprio sperma non è vietato dalla legge in tutta Europa come nel caso degli ovuli. Infine, in questo caso tutte le donne possono accedere alla banca del seme, non solo quelle particolarmente facoltose. C’è quindi anche una differenza di accessibilità.
Secondo lei cosa spinge una donna a spendere cifre così alte per seguire questa strada?
La scelta del “figlio perfetto”, la possibilità di andare a selezionare la donatrice che ha certe caratteristiche fisiche e intellettive nell’illusione che anche il figlio possa averle. Si vuole arrivare alla figura del “baby profiling”, dimenticando, oltretutto, che l’ovulo determina solo un parte del patrimonio genetico del bambino.
Può capitare quindi che il figlio poi non corrisponda all’idea che ci si era creati in testa. Per questo i sostenitori del politically correct dovrebbero inorridire: cosa c’è di tanto diverso rispetto all’eugenetica, alla selezione della razza? Tanto più che qui ci sono di mezzo anche i soldi.
Questa notizia sembra far emergere un crescente desiderio di maternità. D’altra parte assistiamo, però, a metodi sempre più facili per abortire. Non le sembra una contraddizione?
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In realtà no, è tutto frutto della stessa radice: una scelta determinata dal capriccio, dalla forma più profonda di egoismo. La maternità non è più accoglienza dell’altro. Ci sono casi eclatanti di questo fenomeno. Per esempio, una donna inglese di 69 anni malata terminale di cancro, che prima di morire ha espresso il desiderio di provare l’esperienza della maternità. Bene: ha fatto la fecondazione in vitro, ha avuto due gemelli, poi è morta e ora questi bambini sono orfani. O ancora il caso celebre di Thomas Beatie, la donna diventata uomo che però ha voluto mantenere l’apparato genitale femminile per restare incinta. Non è forse egoismo questo, visto che un uomo non dovrebbe poter partorire?
Secondo lei, che conosce bene il mondo anglosassone, le autorità inglesi interverranno per bloccare questa “lotteria”?
L’Inghilterra lascerà correre come ha già fatto in altri casi. Per esempio, come ho già spiegato in un mio articolo, l’Uk vieta l’eutanasia e per questo molti inglesi per il suicidio assistito si recano nella clinica svizzera Dignitas accompagnati dai parenti. Questi, fino a poco tempo fa, rischiavano di essere incriminati per istigazione al suicidio. Keir Starmer, il Director of Public Prosecutions per l’Inghilterra e il Galles, ha però pensato bene di proporre delle linee guide per garantire l’impunità per chi accompagna per “compassione” i propri parenti a morire all’estero.
Mi sembra che il problema alla radice di tutto sia legato alla ricerca ossessiva di un figlio perfetto. Come se ne può uscire?
Effettivamente c’è un’ossessione incredibile per la ricerca del “figlio perfetto”. La genitorialità è però qualcosa di diverso e di più profondo della genetica. Ritengo che un uomo e una donna che adottano un figlio siano infinitamente più genitori di chi procrea e partorisce per poi disinteressarsi del destino del proprio figlio.