Caro direttore,

Come si legge nei commenti alla Lettera del Papa ai vescovi irlandesi, pubblicati in questi giorni su tutti i quotidiani italiani, il celibato è quasi universalmente considerato il prezzo da pagare per essere sacerdote di Santa Romana Chiesa. E se il Papa in quella lettera lo definisce “sacro”, sembra ad alcuni una parola buttata lì, a cui non dare un peso particolare. Invece “sacro” vuol dire che c’entra con Dio, che non è una pura questione giuridica. Vorrei allargare il discorso al di là delle ragioni storiche di questa disciplina. Il punto non è il tanto ribadito quanto inesistente nesso fra celibato e pedofilia. Uno sguardo alle statistiche rivela che tali sospetti non sono in alcun modo sostenuti dalla realtà.



Il punto non è neppure quello di entrare nei meandri del diritto canonico e spiegare ai cattolici ciò che potrebbero o dovrebbero fare di diverso – saranno fatti loro se hanno sempre, a più e più riprese, mantenuto il celibato dei sacerdoti. Il punto è che il celibato porta a galla una questione che interessa tutti, non solo chi ha un motivo per biasimare o difendere i sacerdoti. Mette in evidenza una delle domande più radicali che una persona può fare: cos’è l’amore? È possibile amare veramente, per tutta la vita? Come si fa?



Chi liberamente sceglie il celibato si fa queste domande, ma se le fa anche chi si sposa. Pure chi si sveglia nel letto di uno sconosciuto se le fa, o chi divorzia.

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L’amore è donazione. È volere il bene di un altro. È comunione, l’unità miracolosa dei diversi. È un abbraccio caloroso, che però lascia l’altro libero, non ingabbiato in una rete di sottili pretese. È il sacrificio di sé per l’altro, come sa bene ogni madre. L’amore è la cifra nascosta della libertà in ogni rapporto. È il fuoco segreto che, non consumandosi, nutre un matrimonio o una vocazione religiosa per tutti i lunghi anni della vita. Ecco la vera ragione del celibato dei preti: si vuole amare in modo totale, come Gesù.



 

Mi rendo conto che più controcorrente di così non si può. Di sicuro, non avrei mai scelto la verginità se non avessi incontrato uomini compiuti e liberi su quella strada. E non avrei continuato a vivere così se non perché sperimento una pienezza affettiva molto più ricca e bella di quando avevo una fidanzata.

 

Nell’ultimo film di Tarkovskij, Il sacrificio, a un certo punto il protagonista guarda un libro d’icone russe e dice: “Che magnifica raffinatezza e quanta infantile purezza e innocenza, profonda e verginale allo stesso tempo!” È una bella descrizione della vita cristiana, in cui la calma e lieta certezza della fede cammina al fianco della profonda e realistica conoscenza dell’uomo, con tutta la sua grandezza e tutta la sua meschinità. Il celibato è al servizio di questa fanciullezza dello spirito. Ricorda al mondo che l’innocenza non è soltanto un ricordo, ormai inaccessibile. Ci ricorda che l’amore disinteressato esiste, e che è bellissimo.

  

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