Le sentenze vanno lette e capite, anche se in realtà non serve grande acume giuridico per intendere subito quanto contenuto nelle 22 pagine della recentissima sentenza della Corte europea sui diritti dell’uomo di Strasburgo n. 57813/00.

Il caso è quello di due coppie austriache affette, in modo diverso, da infertilità: nella prima la moglie ha una patologia alle tube (sebbene in grado di produrre ovociti) e il marito sterile, nella seconda la donna non produce ovociti, pur avendo l’utero funzionante. Entrambe le coppie hanno il forte desiderio di avere bambini che tuttavia non potranno mai nascere. Devono così devono ricorrere ad una fecondazione eterologa in vitro. Infatti per la prima coppia sarà necessario prelevare un ovocita della moglie, fecondarlo in vitro con lo sperma di un donatore estraneo alla coppia e, una volta ottenuto l’embrione, trasferirlo nell’utero della donna. Per la seconda, sempre ricorrendo alla fecondazione extracorporea, sarà necessaria una donatrice di ovocita e quindi la fecondazione dell’ovulo con il seme del marito della coppia, poi, ottenuto l’embrione, bisognerà procedere con l’impianto nell’utero.



Tecnica, questa, che però in Austria non è possibile secondo la Austrian Artificial Procreation Act, la legge che regola la materia. Una normativa che cioè prevede la possibilità di ricorrere alla procreazione medicalmente assistita omologa (all’interno della coppia) sia in vivo che in vitro – ovvero la fecondazione può avvenire sia all’interno che all’esterno del corpo della donna – ed anche, in via del tutto eccezionale, la fecondazione eterologa in vivo, con la sola ed esclusiva possibilità, dunque, di donatore maschile. In altre parole in Austria è possibile ricorrere alla fecondazione eterologa solamente a condizione che sia il solo sperma ad essere donato e che la fecondazione stessa avvenga all’interno del corpo della donna.



Le coppie ricorrenti a Strasburgo contro lo Stato austriaco, hanno ritenuto l’Austrian Artificial Procreation Actdiscriminatoria poiché permette la fecondazione extracorporea solo all’interno della coppia, IVF omologa, e prevede la possibilità di una fecondazione eterologa in vivo, dunque esclude il ricorso all’eterologa con donatore di sesso femminile, pur considerando lecito e legittimo, sebbene eccezionale, il ricorso ad un donatore maschile.

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La Corte analizza separatamente i due casi, ritenendoli non sovrapponibili, dapprima affronta la donazione di ovociti, poi la questione della fecondazione eterologa in vitro. E la soluzione, che appare accettabile nelle conclusioni (allorché parla di violazione della legge austriaca degli articoli 8 e 14 della Convenzione europea ovvero il diritto al rispetto della vita privata familiare e divieto di discriminazione), lascia insoddisfatti nelle motivazioni.



 

Per la Corte infatti è apparso discriminatorio che la normativa austriaca autorizzasse la donazione di sperma, sebbene in casi eccezionali, ma vietasse categoricamente quella di ovociti. Sebbene questo possa essere condiviso giuridicamente in uno Stato dove l’eterologa è già ammessa, appare del tutto priva di argomentazione giuridica sostenibile la motivazione della Corte europea. Poiché le motivazioni sostenute dallo Stato austriaco, che insieme a quello tedesco vieta la donazione di ovociti, sono condivisibili ed hanno un preciso fondamento giuridico, sociale, etico e antropologico, che andava confutato o quantomeno affrontato in maniera esaustiva.

 

Il divieto austriaco e tedesco, tenendo conto del principio mater semper certa est, pater est quem nuptiae demonstrant, – base del diritto di famiglia per tutti gli ordinamenti di derivazione romanistica – ha come fondamento l’interesse del bambino che non deve mai trovarsi nell’ambigua condizione di non conoscere precisamente l’identità della madre. Con la donazione di ovociti, a differenza della donazione di sperma, nella collaborazione alla “creazione” di un bambino vengono al contrario coinvolte due donne: la donatrice, madre genetica, e la gestante, madre biologica. E sarebbe una novità assoluta in natura e nella storia dell’umanità. L’univocità della maternità è sempre stata la base fondamentale del consenso sociale sotto un profilo morale storico e  giuridico, per il diritto tedesco e austriaco. Dividere pertanto il concetto di maternità potrebbe compromettere lo sviluppo della personalità del bambino e determinare seri problemi alla sua identità.

 

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Un altro pericolo considerato dal legislatore tedesco e austriaco consiste nel fatto che la madre biologica potrebbe ritenere, in caso di malattie genetiche o handicap del bambino, responsabile la madre genetica e dunque rifiutare il bambino tanto desiderato.

 

La Corte di Strasburgo però, sbrigativamente, ha considerato queste argomentazioni “non ragionevoli e obiettive a giustificare la differenza di trattamento”, spingendosi però molto oltre e in maniera pericolosa. E infatti, all’ulteriore obiezione da parte dello Stato austriaco e tedesco relativa al diritto del bambino di essere informato sulla patrimonialità genetica, risponde che questo non va considerato come un diritto assoluto. Così che secondo la Corte esiste il diritto ad essere genitori ad ogni costo, ma non quello di sapere chi siamo.

 

Più semplice è la soluzione relativa alla questione della fecondazione eterologa con donazione di sperma in vitro. Infatti è condivisibile accettare la conclusione della Corte e le motivazioni sostenute. Non è giustificabile il divieto per la fecondazione eterologa in vitro, quando è ammessa, seppur eccezionalmente, quella in vivo.

 

Questa sentenza, in realtà non impone nulla a nessuno Stato membro, ovvero non costituisce un precedente o una “speranza” per gli Stati dove l’eterologa è vietata, ma si limita semplicemente a rilevare delle contraddizioni esistenti in un Paese dove l’eterologa di per sé era già ammessa, sebbene il divieto esistente in Austria e in Germania di donazione di ovociti trova un forte fondamento etico, antropologico e giuridico che la Corte non è stata in grado di scalfire.