La lettera di Carrón ci ricorda che i preti pedofili esistono. A molti di noi piacerebbe che si trattasse solo di un brutto sogno, o di calunnie della stampa laicista. Non è quello che scrive Carrón, e non è quello che c’insegna il papa. Nella magnifica Lettera ai cattolici dell’Irlanda del 19 marzo 2010 Benedetto XVI denuncia con voce fortissima i «crimini abnormi», «la vergogna e disonore», la violazione della dignità delle vittime, il colpo inferto alla Chiesa «a un punto tale cui non erano giunti neppure secoli di persecuzione». A nome della Chiesa «esprime apertamente la vergogna e il rimorso».



Certo, il papa affronta il problema dal punto di vista del diritto canonico ribadendo con forza che è stata la sua «mancata applicazione», da parte talora anche di vescovi, non le sue norme come una certa stampa laicista pretenderebbe, a causare la «vergogna». Certo, il papa fa cenno al fatto che il problema della pedofilia non tocca soltanto – e neppure principalmente – i sacerdoti, così che non è senza malizia che certi media concentrano il loro fuoco sulla Chiesa e sul pontefice. Ma il papa, come Carrón, si pone ultimamente su un piano diverso. Parla della vita spirituale dei sacerdoti, la cui trascuratezza è alle radici del problema e cui chiede di ritornare attraverso l’adorazione eucaristica, le missioni, la pratica frequente della confessione. E il ritorno a Cristo non è solo per i preti: è per tutti noi.



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Com’è potuta accadere, infatti, una tragedia così immane? Quelli che gli inglesi e gli americani chiamano the Sixties («gli anni ’60») e noi, concentrandoci sull’anno emblematico, «il Sessantotto» appaiono sempre di più come gli anni o il tempo di un profondo sconvolgimento dei costumi, con effetti cruciali e duraturi sulla religione. C’è stato del resto un Sessantotto nella società e anche un Sessantotto nella Chiesa: proprio il 1968 è l’anno del dissenso pubblico contro l’enciclica Humanae Vitae di Paolo VI.



 

Con molto acume un pensatore cattolico brasiliano, Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), parlò a suo tempo di una “IV Rivoluzione” – successiva alla Riforma, alla Rivoluzione francese e a quella sovietica – più radicale delle precedenti perché capace di sconvolgere non solo il corpo sociale, ma il corpo umano. Nella Chiesa Cattolica della portata di questa rivoluzione non ci fu subito sufficiente consapevolezza. Anzi, essa contagiò – spiega nella sua lettera Benedetto XVI – «anche sacerdoti e religiosi», determinò «fraintendimenti» nell’interpretazione del Concilio, causò «insufficiente formazione, umana, morale e spirituale nei seminari e nei noviziati». In questo clima certamente non tutti i sacerdoti insufficientemente formati o contagiati dal clima successivo agli anni ’60, e nemmeno una loro percentuale significativa, divennero pedofili. E tuttavia questo numero non è uguale – come tutti vorremmo – a zero, e giustifica le severissime parole del papa.

 

Lo studio della “IV Rivoluzione” degli anni ’60, e del 1968, è cruciale per capire quanto è successo dopo, pedofilia compresa. E per trovare rimedi reali, che la Chiesa ha cominciato a porre in essere. Se questa rivoluzione, a differenza delle precedenti, è morale e spirituale e tocca l’interiorità dell’uomo, solo dalla restaurazione della moralità, della vita spirituale e di una verità integrale sulla persona umana potranno ultimamente venire i rimedi. Ma per questo i sociologi, come sempre, non bastano: occorrono i padri e i maestri, gli educatori e i santi.

 

 

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