A cinque anni dalla successione di Papa Giovanni Paolo II, avvenuta il 19 aprile 2005, Benedetto XVI si trova ad affrontare la crisi più grave del suo papato. Lo scandalo della pedofilia, attualmente in corso, continua a indebolire la credibilità della Chiesa e rafforza gli stereotipi tradizionali che vedono il Vaticano, sotto la sua guida, come una teocrazia medioevale governata da un autocrate assoluto, di temperamento reazionario e intollerante.
Tale opinione non è diffusa soltanto da atei come Richard Dawkins o Christopher Hitchens. Accanto a questi accusatori abituali, si ritrovano numerosi cattolici di spicco che stanno sfruttando lo scandalo degli abusi sessuali come pretesto per attaccare il pontefice. In una lettera aperta indirizzata ai vescovi cattolici pubblicata sabato scorso, il teologo svizzero Hans Küng ha incolpato Ratzinger della “più profonda crisi di credibilità per la Chiesa dai tempi della riforma protestante”. In sostanza, Küng accusa il Papa di avere restaurato una visione reazionaria del cattolicesimo, che rinnega le riforme progressiste del Concilio Vaticano II (1962-65), a cui entrambi presero parte in qualità di periti (giovani consiglieri teologici al servizio dei cardinali).
Come gran parte dell’ateismo contemporaneo, la filippica di Küng è dovuta più all’ideologia che alla ragione. La sua suddivisione del cattolicesimo (e di altre tradizioni religiose) in un’ala liberale e progressista e un’altra conservatrice e reazionaria è una distinzione tipica della laicità moderna, che snatura l’unicità di ogni e di tutte le religioni. Ecco perché il principale interesse di Küng, la costruzione di un’“etica mondiale”, è un’astrazione dal carattere unico delle diverse tradizioni di fede, una strumentalizzazione della religione al servizio di una dubbia moralità che è nient’altro che un semplice “comportarsi bene nei confronti altrui”.
È una notevole differenza rispetto all’etica universale e le altre verità che tutte le religioni difendono, ma su cui sono in disaccordo fra di loro, come ad esempio il ruolo dell’amore e della legge nel Giudaismo e nel Cristianesimo. Negando un reale universalismo, l’”etica mondiale” di Küng è perfettamente compatibile con il laicismo moderno e quella “dittatura del relativismo” che Papa Benedetto XVI ha ripetutamente denunciato. Non c’è da stupirsi che Küng preferisca un cattolicesimo liberale che emula la cultura laica, perdendo in questo processo la propria unica visione integrale.
Quel che è peggio, Küng non comprende la lunga tradizione intellettuale che il Papa tenta di preservare ed estendere, una sorta di ortodossia romantica che rifugge gran parte della moderna riforma e controriforma a favore del retaggio della patristica e del medioevo condivisa da cristiani sia all’est che all’ovest. Tale retaggio culturale deriva dagli insegnamenti dei dottori e dei padri della Chiesa, quali Sant’Agostino, Dionigi o San Tommaso d’Aquino, sul tema dell’unità della natura e del soprannaturale, in contrapposizione alla separazione moderna fra l’universo naturale e la grazia e creatività divina. In breve, Benedetto XVI rifiuta il dualismo moderno fra natura e grazia, o fede e ragione, come esposto nel suo controverso discorso di Ratisbona nel 2006.
L’argomentazione del Papa è che tali dualismi moderni abbiano spianato la strada alla disastrosa separazione della ragione dalla fede, un’opposizione che è alla base del conflitto sempre più accanito fra la ragione assoluta del laicismo (e ateismo) estremo e la fede cieca dei fondamentalismi religiosi. In questo senso, l’appello di Benedetto XVI per un ritorno alla “grandezza della ragione”, per cui ragione e fede necessitano l’una dell’altra e si incrementano a vicenda, è ben più radicale e progressista delle pretese di Küng per un dialogo più liberale.
Effettivamente, l’intervento del Papa ha già portato ad un dibattito più intenso e di maggiore vigore intellettuale fra cristiani e musulmani, come dimostrato dal forum permanente per il dialogo cattolico-musulmano. Esso fu stabilito in risposta alle critiche mosse al discorso papale di Ratisbona, nel quale collegò la violenza nell’islam alla maggiore importanza data al potere e alla volontà di Dio rispetto alla ragione e all’intelletto divino. Küng accusa Benedetto XVI di aver causato una crisi di fiducia fra cristiani e mussulmani, ma il Papa ha ragione ad insistere che tale fiducia è veramente autentica soltanto se è basata su una reciproca comprensione delle reali differenze tra Cristianesimo ed Islam: l’incarnazione di Dio, la divina natura di Cristo e la Santissima Trinità.
Non è neppure vero che Benedetto XVI ha nostalgia della dottrina e dei concili della Chiesa delle origini. Al contrario, egli ricongiunge il retaggio culturale della patristica e del medioevo al Romanticismo moderno, con la loro comune enfasi sulle dichiarazioni naturali del divino e sull’umana attività artistica. È questa tradizione romantica che ha contribuito a creare e a mantenere la cultura elevata per cui si batte il Papa. Ciò è alla base della sua difesa della liturgia tradizionale (compresa la Messa tridentina) contro l’avvento del “sacro-pop”: “liturgie da festicciole parrocchiali e banali canzoni del tipo ‘abbracciami Gesù’”, come scrive in modo quanto mai appropriato Tracey Rowland nel suo libro “La fede di Ratzinger”.
Oltre alla liturgia, il Romanticismo è anche la chiave per difendere la cultura laica da se stessa. Rifiutando sia la ragione assoluta e strumentale che la fede cieca ed emotiva, la tradizione romantica mette alle corde la convergenza contemporanea tra un progresso tecnologico senz’anima e una cultura impoverita dominata da sessualità e violenza. Cosa ancora più importante, essa si oppone alla collusione complice di una sconfinata liberalizzazione economica e sociale che ha prodotto la morale sessuale del “laissez-faire”, con l’ossessione del libero arbitrio individuale a scapito di parametri obiettivi (pur contestati) di verità, bellezza e rettitudine, una preoccupazione condivisa dall’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams nel suo autorevole libro “Le icone perdute”.
Rimangono aperte numerose domande su come sia possibile tradurre la visione di Benedetto XVI in una radicale revisione della Curia e delle relazioni tra Roma e i vescovi cattolici. Ma ben lungi da essere nostalgico o reazionario, il Papa di oggi è un ostinato romantico che sta realizzando un Rinascimento intellettuale e culturale del cattolicesimo.