Torino in queste settimane è una città diversa; in certi momenti sembra di essere a Roma. Sotto la Mole Antonelliana un popolo lieto, semplice, vociante o silenzioso proveniente da tutto il mondo attraverso i “giardini reali” sfila per giungere davanti alla più preziosa reliquia del mondo: la Sindone, dove Gesù ha lasciato la misteriosa impronta della Passione crudelissima da Lui subita e, indirettamente della sua Resurrezione, poiché sul Sacro lino non c’è alcun segno di contaminazione o decomposizione di cadavere. Sono stato a lungo in preghiera per due ore consecutive la notte di giovedì 8 aprile davanti alla Sindone con altri due amici sacerdoti. Dalla commozione e dalla curiosità di saperne di più ben presto sono passato allo stupore e alla commozione vera nel sentirmi “chiamato” da Gesù. «Guarda i segni del mio amore infinito per te… non potevo soffrire di più per salvare questo mio povero mondo». Qui tutto è stato redento, salvato, anche la morte, anche il dolore.



Dal 10 aprile un fiume ininterrotto di persone sfila davanti al Sacro lino. Dado, studente di Economia, dice: «Mi ha commosso il volto di Gesù perché mi commuovono i vostri volti. È grazie ai vostri volti che posso oggi guardare il volto di Cristo come uno vivo, presente nella Chiesa». Ogni sera alle ore 21 il Duomo di Torino si riempie di gruppi di preghiera guidati da varie personalità. Come domenica 18 aprile: invitato da Comunione e Liberazione, don José Miguel Garcia, docente di Esegesi biblica alla facoltà San Damaso di Madrid, ha tenuto un “lectio divina” a commento del Vangelo di Giovanni (20,1-10) sulla sepoltura di Gesù, la visita al sepolcro di Maria di Magdala e delle sue compagne, di Pietro e di Giovanni. Le prime pensano a ciò che sembra più ovvio: l’hanno portato via e non sappiamo dove; mentre in Giovanni si accende la prima luce della fede: «Vide e credette». «Pietro e Giovanni – afferma il teologo Garcia – vedendo il lenzuolo e anche il sudario arrotolato, possono dedurre facilmente che il morto non è stato rubato; altrimenti quelli avrebbero portato via con il cadavere la Sindone e certamente non si sarebbero fermati a togliere il sudario attorno al capo. La presenza di questi due oggetti era un segno evidente che era successo qualcosa di diverso. E allora si sono ricordati di quello che aveva detto lo stesso Gesù scendendo dal monte della Trasfigurazione, quando aveva detto a Pietro, Giacomo e Giovanni che quello che loro avevano visto era come l’esemplificazione del Cristo risorto; e lì l’evangelista aggiunge: “Non capirono cosa era resuscitare dai morti”». 
 



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Pietro tornò a casa pieno di stupore per l’accaduto. Ma – ha continuato Garcia – insieme allo stupore, tutti e due provavano una letizia, una gioia nel cuore: la speranza prendeva il posto dello smarrimento e del dubbio. Come gli altri due di Emmaus tornavano a casa con un cuore ardente. Questo cambiamento era già l’inizio della vita nuova del Risorto che si comunicava a tutti e due. Arrivati a casa, vedendo soltanto i volti di loro due, gli altri discepoli sanno che qualcosa di straordinario è capitato nel sepolcro. Pietro racconta quello che ha visto, lo stupore provato e la certezza che ha iniziato a fiorire nel suo cuore. Tutti quanti rimangono sbalorditi di quello che sentono: ma può essere possibile? A stento credono quello che sentono raccontare.



 

Dal racconto di DON PRIMO SOLDI, tratto dal numero di Tempi presente in edicola- Un Volto preciso

Tutto questo popolo che sfila davanti alla Sindone non sembra essere toccato dalle accuse che piovono sulla Chiesa a causa dei casi di pedofilia di alcuni preti, accuse che cercano sempre più di coinvolgere Benedetto XVI. Quando ho visto sfilare lunedì 19 aprile 2.500 universitari di Milano accompagnati dallo loro guida spirituale don Stefano Alberto, mi sono ritornate in mente le parole del cardinale Ratzinger nella sua autobiografia citata la sera prima da don Garcia: «Non saprei dare una prova più convincente della verità della fede cristiana che la sincera e bella umanità che genera». Perché certamente il peccato è presente nei membri della Chiesa, però nessuno può negare, se è leale con il reale, che la Chiesa genera anche una umanità diversa: ci sono centinaia di esempi di questo amore gratuito anche oggi. E Torino è qui a esporre a tutti i pellegrini la “Piccola Casa della Divina Provvidenza”, il Sermig, la Piazza dei Mestieri, centinaia di centri di ascolto della Caritas. Il motto scelto dal cardinal Poletto per questa ostensione, “Passio Christi, passio hominis”, induce a guardare il corpo martoriato del crocifisso e, contemporaneamente, ai milioni di uomini che muoiono di fame, allo sfruttamento brutale di donne e bambini, ai milioni di esseri umani che vivono di stenti e di umiliazioni ai margini delle metropoli… ai nostri fratelli cristiani perseguitati specialmente nei paesi governati dalla sharia islamica.

 

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La chiesa di San Filippo a Torino non ha mai visto 2.500 universitari in un colpo solo ascoltare in un commosso silenzio don Alberto: «Perché siamo qui? Perché questo gesto può essere decisivo per la nostra vita. Sia pure per pochi istanti ciascuno di noi ha intravisto quel Volto ferito e glorioso. Cos’è la nostra vita se non la tensione a scoprire quel Volto? Il grande grido di giustizia, di verità, di perdono che ciascuno di noi porta nel suo cuore ha incontrato la risposta: “Ti ho amato di un amore eterno, ti ho amato fino alla fine”. Il cristianesimo è il legame che quest’uomo morto e risorto stabilisce con me.

Quel Volto è preciso, anche se i suoi contorni sono indistinti in alcuni punti, perché il suo Volto di sofferenza diventa il Volto del Risorto nella nostra compagnia la cui unica ragione è di essere costituita da Lui. La Sacra Sindone sembra la testimonianza di una sconfitta, di una tortura senza precedenti, e invece, come disse Giovanni Paolo II, è il testimone muto ma assai eloquente dell’inizio della vittoria».  Tutti i titoli dei giornali che gettano discredito su Benedetto XVI cadono a terra come stracci sporchi di fronte all’entusiasmo che qui a Torino cresce di ora in ora al pensiero che tra pochi giorni vedremo il volto luminoso e certo di Benedetto XVI.

(di DON PRIMO SOLDI)