Non era mai successo che la Via Crucis uscisse per le strade di Mosca. Nonostante la libertà religiosa sancita e tutelata dalla Costituzione, la fede continua a restare un gesto privato, da esprimere «tra i propri», entro il recinto delle chiese. Questo vale per la Chiesa ortodossa, secondo la mentalità della gente, e tanto più per la comunità cattolica che costituisce una sparuta minoranza.



La vigilia della domenica delle Palme, invece, la Diocesi della Madre di Dio a Mosca ha proposto la Via Crucis come gesto pubblico a cui hanno partecipato tutti i gruppi e movimenti, alternandosi nei canti, lungo un percorso attraverso i quartieri intorno alla cattedrale dell’Immacolata Concezione. Un migliaio di fedeli – dalle donne anziane che si inginocchiavano ad ogni stazione, incuranti delle pozzanghere e del fango (è la stagione del disgelo), a giovani famiglie con bambini in braccio e nel carrozzino: veramente il popolo di Dio, che cantava in russo, in latino, in spagnolo e addirittura in una delle lingue africane.



Il coro di Comunione e Liberazione ha eseguito tre canti: Attende Domine, Anime affaticate e sitibonde e O Cor soave. Il gesto annuale della nostra Via Crucis quest’anno si è fuso con il nuovo passo compiuto dalla Chiesa cattolica in questa terra, servendolo e lasciandosene commuovere. Passando per le strade di Mosca, seguendo la croce e ascoltando, passo dopo passo, l’eco del cammino doloroso di Gesù, era impossibile non levare il capo a guardare la gente affacciata alle finestre delle case con una curiosità attenta, oppure gli stessi poliziotti – una cinquantina di agenti – che ci scortavano con grande compunzione.



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Che mistero, lo sguardo del Crocifisso su ciascuno di quelle persone che lo incontravano casualmente, come il Cireneo, e su ciascuno di noi che eravamo arrivati fin lì spinti da una domanda, una speranza, un dolore… Come non domandare, per ciascuno di noi e per questa città così bella e così feroce, che Lo riconosciamo come «strada per il compimento del desiderio più profondo della natura umana»!

Proprio con queste parole Mons. Pezzi aveva introdotto il gesto della Via Crucis. E al termine, davanti alla cattedrale, ha osservato che «la Via Crucis è la metafora della nostra vita, quando seguiamo Cristo, attirati, affascinati da Lui. Eppure, davanti alla Croce possiamo smettere di notare l’attrattiva di Cristo, che ci si presenta qui così spoglio di ogni bellezza, così impotente, tanto che ne restiamo delusi e pieni di dubbi. Eppure è proprio qui che la sua attrattiva raggiunge il culmine, raggiunge la sua dimensione infinita. Cristo infatti non si limita a venirmi incontro: si mette dalla nostra parte, condivide la nostra sorte. Lui, il più bello tra i figli dell’uomo, si è “tolto” ogni bellezza esteriore e si è rivestito della bellezza dell’essere, della bellezza dell’amore, che mostra il desiderio infinito di Cristo – il suo desiderio del cuore dell’uomo». Questo resta un punto fermo, che la domanda – posta ancora dall’Arcivescovo come provocante interrogativo – «Ma il cuore dell’uomo chiede Cristo?» – non può scalfire. Questa domanda resta come una bruciante provocazione alla nostra libertà, un invito a scoprire il Suo volto irripetibile nell’abbraccio del popolo di Dio con cui ci siamo fusi seguendo la croce, nelle circostanze di tragica violenza di questa Settimana santa, nella quotidiana scoperta del nostro bisogno di perdono e di amicizia.