Un dramma, lo scandalo pedofilia, che segnerà profondamente la Chiesa per gli anni a venire. Se prima l’errore è stato quello di tacere – dice a ilsussidiario.net Andrea Tornielli, vaticanista de Il Giornale – temendo la divisione e le ripercussioni sociali dello scandalo, ora il rischio potrebbe essere quello di farsi dettare l’immagine da una realtà secolare malata di giustizialismo. Ma Benedetto XVI è andato oltre: ha abbracciato le vittime.



Che idea si è fatto delle possibili conseguenze dello scandalo pedofilia per la Chiesa?

Lo scandalo alimenterà, in Europa, l’opinione pubblica negativa verso la Chiesa. La cosa di cui ci si rende forse poco conto è che queste campagne mediatiche vengono ricordate solo, o quasi, per i titoli dei giornali. Si ha un bel dire di essere equilibrati: purtroppo il messaggio, preconcetto e ingiustamente sommario, che è passato in questo periodo è «preti uguale pedofili» ed è un’opinione che rimarrà ancora a lungo.



Fin da quando è scoppiato lo scandalo, il celibato e finito subito sotto accusa.

Credo che la questione del celibato sia di minore importanza dal punto di vista mediatico, perché interessa solo i preti. Non ne parlo evidentemente dal punto di vista teologico e pastorale. C’è chi vuole mettere in discussione il celibato e coglie ogni occasione per farlo. Mi pare però che i commentatori laici più avveduti si siano guardati bene dal cavalcare la tesi di un presunto rapporto – inesistente nei fatti – tra pedofilia e celibato. Non era scontato.

C’è però una certa componente culturale di tipo «progressista», interna alla stessa Chiesa – alla Hans Küng per intenderci – che non perde occasione per tornare sulla questione del celibato e non rinuncia a proporre una sua concezione, tipicamente mondana, di riforma della Chiesa. È destinata a non fare opinione?



Di questo non sono così convinto. Certo, sono posizioni ben note, vecchie, ma che intercettano ancora un dissenso che esiste e che emerge. E soprattutto non intendono concedere nulla al pontificato di Ratzinger. A mio avviso però celibato e sacerdozio alle donne sono temi che interessano assai più il clero dell’opinione pubblica.

Negli Usa lo scandalo pedofilia del 2002 ha messo in crisi l’educazione dei giovani, distrutto dalla «sindrome del sospetto» verso gli adulti, preti o laici. Nel nostro paese c’è questo rischio?

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Da noi la percezione della Chiesa è ancora buona e l’istituzione gode di fiducia. Però è indubbio, ed è un discorso che prescinde dagli scandali della pedofilia, che esiste un problema di comunicazione Chiesa-giovani: è un tema che riguarda il metodo della proposta cristiana prima ancora che aspetti pastorali o morali. A questo si aggiunge la difficoltà da parte dei giovani a riconoscere nella Chiesa un soggetto con cui confrontarsi. La situazione non è tragica come quella degli Usa, eppure ho l’impressione che la realtà italiana sia dipinta come troppo rosea rispetto alla realtà vera della nostra società.

 

Molti commentatori sottolineano che Benedetto XVI è stato inflessibile con la pedofilia. Le chiedo, provocatoriamente: Giovanni Paolo II no?

 

Si è passati da un estremo all’altro. Per decenni i casi di pedofilia dentro la Chiesa sono stati affrontati in modo inadeguato, avendo a cuore soltanto di evitare lo scandalo e finendo per insabbiare, senza avere la percezione che la prima missione cristiana era quella di essere vicini alle vittime, e di mettere i preti colpevoli in condizione di non nuocere. Ora, invece, la Chiesa deve guardarsi dal toccare l’altro estremo, quello tipicamente anglosassone della «tolleranza zero», che di cristiano ha ben poco. Al minimo sintomo del problema, ancora prima di accertare le reali responsabilità, la pretesa è di cacciare il colpevole, di ridurlo subito allo stato laicale. Cos’altro?

 

Ma quali sono secondo lei le reali responsabilità della Chiesa?

 

Ci troviamo di fronte ad una grave carenza di capacità di governo da parte dei vescovi, che prima non sono stati in grado di abbracciare le vittime e affrontare il problema, e che oggi corrono il rischio di eluderlo: quasi che un prete che ha commesso atti di pedofilia non riguardasse loro, le loro diocesi, il modo in cui questo prete è stato formato, il tipo di paternità che esercitano (o non esercitano) nei confronti dei preti. Perché mi sembra questo il nocciolo della questione: certi vescovi si sono mostrati incapaci di governare perché incapaci di essere veri padri per i loro preti. In questo quadro vanno visti a mio avviso i due pontificati.

 

E sul piano dei provvedimenti?

 

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È fuor di dubbio che dal 2001, col motu proprio Sacrametorum dignitatis tutela e con i documenti di applicazione successivi, e dopo lo scoppio dello scandalo negli Usa la Chiesa ha preso una posizione decisa e precisa. Bisogna sempre ricordare che durante il pontificato di Giovanni Paolo II l’artefice era Ratzinger. Stanno emergendo in certi casi sottovalutazioni da parte dell’apparato di Curia, ma la linea di Ratzinger è sempre stata quella dell’inflessibilità, e anche talvolta di un minore garantismo. Detto questo, si fa fatica a capire, anche e soprattutto negli Stati Uniti, che la Chiesa non è una Procura della repubblica.

 

Si proietta sulla Chiesa, insomma, un’attitudine «giustizialista» che è tipicamente secolare e politica.

 

Sì. Una cosa è il sacrosanto diritto delle vittime di rivolgersi alla magistratura per ottenere giustizia, perché si tratta di reati penali, altra cosa è capire che la Chiesa ha un suo sistema di giustizia e un suo codice di diritto canonico. Oggi si pretende troppo che la Chiesa agisca come una procura, dimenticandosi che la Chiesa è soprattutto qualcos’altro.

 

Galli della Loggia, sul Corriere, ha scritto che l’«autoriforma» della Chiesa oggi sta nel fatto che essa «si è spogliata di ogni forma di intermediazione verso i suoi membri»: se il peccato non è più coperto è perché la Chiesa ha assunto il punto di vista dell’attuale società su un fatto grave come la pedofilia. Lei che ne pensa?

 

Ci andrei piano. Innanzitutto non sono pienamente d’accordo nel dare ora una versione di Ratzinger come se il suo ruolo fosse essenzialmente quello del nuovo fustigatore della pedofilia. La Chiesa, pur condannando la pedofilia, non si lascerà irretire da una società ipocrita che la condanna ma che poi accoglie senza batter ciglio discorsi aberranti sulla pedofilia fatti da intellettuali omosessuali che sui giornali vengono recensiti entusiasticamente. A parte questo, per la Chiesa esiste il peccato ed esiste la grazia: anche il peccatore che ha commesso questo peccato terribile può redimersi.

 

C’è stato allora secondo lei un progresso della Chiesa?

 

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Assolutamente sì. Se negli anni in cui sono stati commessi la maggior parte di abusi la vittima rischiava di essere vista con sospetto, perché poteva apparire come un grimaldello che scardina la compattezza della Chiesa, grazie all’opera di Joseph Ratzinger prima e poi di Benedetto XVI non è più così. È come se finora la Chiesa avesse fatto fatica a capire che il segno che il colpevole lascia nella vittima, rimane. Ed è con quello che bisogna fare i conti. Il dramma non è tanto l’enormità del reato per la società, o per quello che la società pensa della Chiesa, ma la conseguenza di quel reato per la vita di persone che credevano di trovare nella Chiesa accoglienza, misericordia, educazione e hanno invece trovato qualcosa di tremendo.

 

Il papa a Malta ha incontrato le vittime. E ha pianto.

 

Il grande insegnamento di Benedetto XVI, con il cuore prima ancora che con la parola, è esattamente questo: il fatto che abbia incontrato le vittime, che abbia pianto con loro. Era la cosa che mancava, e lui l’ha fatta. Solo nell’abbraccio c’è una vicinanza vera con chi porta i segni dell’abuso. Con il suo pianto ha detto che al centro della Chiesa c’è la vittima. E pensare che in Curia alcuni si chiedevano perché mai a Malta il papa dovesse incontrare le vittime.

 

Julián Carrón ha scritto una lettera a Repubblica, in cui dice che la nostra esigenza di giustizia, essendo infinita, non può essere colmata da alcuna misura terrena. Per questo il papa, nota Carrón, ha detto che solo in Cristo questa sete di giustizia può venire soddisfatta.

 

Condivido in pieno. Non solo la Chiesa non è un tribunale, ma c’è un male che non potrà mai essere giustificato e ricompensato pienamente dal punto di vista umano. Occorre innanzitutto andare al fondo del problema umano per capire un dramma come questo. Benedetto XVI, con un atteggiamento di profonda umiltà, sta mostrando direi quasi «fisicamente» che noi siamo bisognosi della misericordia di Dio: abbiamo bisogno di un Altro senza il quale non siamo giustificati, non siamo salvati, non siamo redenti. Ma ci sarà sempre qualcuno convinto che la Chiesa trasmette innanzitutto una morale o una filosofia: ecco perché ci sarà sempre qualcuno a dire che la Chiesa non ha fatto abbastanza.

 

 

 

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