Cosa impedisce che la Pasqua ai nostri occhi sprofondi nella lontananza siderale del mito? Il Risorto che non solo ci assicura che risorgeremo nel nostro “vero corpo” alla fine del mondo, ma ci dona di sperimentarlo fin da ora, qui.
Ogni giorno il “mestiere di vivere” negli affetti e nel lavoro ci sottopone a tante piccole morti: tensioni, incomprensioni, ostilità nei rapporti, pesantezza difficoltà ingiustizie nel lavoro… Eppure, dentro tutti i suoi piccoli e grandi anticipi (penso in questo caso ai terremoti di Haiti e del Cile, alla strage di innocenti nelle guerre e negli attentati, alle folle di affamati e di assetati, ai bambini violati… l’elenco sarebbe interminabile) la morte non domina più, perché il Signore della vita l’ha attraversata e definitivamente vinta.
Il Figlio di Dio si è incarnato, è entrato nella storia degli uomini – di tutti e di ciascuno -, Lui che poteva non morire è venuto a morire per ognuno di noi. È sceso nell’abisso del dolore e si è lasciato «trattare da peccato» per trascinarci nel vortice della sua resurrezione. Da quel momento la morte non ha più l’ultima parola su nessuna vicenda personale e sociale della vita dell’uomo.
«Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Pasqua, cioè il passaggio di Gesù dalla morte alla vita, significa che la sua compagnia personale e indistruttibile traccia il binario della nostra esistenza. Un binario da cui alla fine, se noi lo vogliamo, non si deraglia, neanche se il percorso è impervio e accidentato – come quello di questo inizio di millennio – e presenta non poche incognite.
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Nessuna di esse può trovare il cristiano impaurito o sulle difensive. Egli avanza fiducioso nella realtà e nulla sente, tendenzialmente, estraneo a sé, ma persegue tenacemente l’incontro con tutti i suoi fratelli, a qualunque razza cultura o religione appartengano. Non è ingenuo, al contrario è ben consapevole dell’inevitabile carico di fatica e dolore che questo comporta. Ce lo dice la stessa parola formata da in e contro, due preposizioni di segno opposto. Ma proprio dalla Pasqua, che nel Crocifisso risorto rivela il volto misericordioso di Dio, è reso indomabile nella ricerca di tutte le strade di una convivenza pacifica e instancabile nel costruirla.
A me pare che nella società plurale in cui la Provvidenza ci chiama a vivere ci sia un prezioso talento che oggi siamo chiamati a far fruttare: dobbiamo trasformare in un valore politico il bene pratico dell’essere insieme. Questo ci impegna ad aprire con coraggio vie insolite verso una nuova laicità, fatta di relazioni buone e di pratiche virtuose con cui, attraverso la narrazione reciproca, arrivare al riconoscimento comune.
La prova più impressionante del fatto della resurrezione del Signore oltre che nel racconto scarno che ne fanno gli evangelisti, sta in un dato imponente e altrimenti incomprensibile. Come si spiega, infatti, che un pugno di uomini semplici, letteralmente terrorizzati dopo la fine terribile del loro maestro, a un certo punto trovino il coraggio di uscire dal cenacolo e mettersi a predicare e annunciare pubblicamente il grande evento della Risurrezione? E come si spiega che tutti, nel giro di pochi anni, daranno la loro vita per Gesù? Qualcosa di sconvolgente deve essere accaduto: lo hanno rivisto, l’hanno incontrato di nuovo.
Il Risorto abita il nostro quotidiano. Buona Pasqua!