Sono trascorsi ormai alcuni giorni dal ritorno del Papa da Cipro e forse proprio questa distanza permette di rilevare ancor più la sostanza particolare di questa tappa del Pontificato di Benedetto XVI.
È stato un viaggio impressionante non solo per il grande valore di quella terra legata alla missione di San Paolo; non solo per la ricchezza di riflessioni e dichiarazioni, ma proprio per la testimonianza, resa dal Papa, di una fede ben radicata nella storia presente: la messa in guardia sul possibile “spargimento di sangue” in Medio oriente, l’incontro con Chrysostomos II, l’abbraccio con la locale comunità cattolica, la consegna dell’Instrumentum Laboris ai Vescovi e la dichiarazione circa la necessità di un dialogo con i fratelli musulmani, con l’immediata chiarificazione, così tipica del Papa, circa il significato del termine “fratelli”. Questa è stata una scelta lessicale voluta, in un momento in cui il mondo era profondamente turbato per l’omicidio di Mons. Padovese, il vescovo barbaramente ucciso nella sua casa la cui testimonianza getta una luce intensa sullo stesso viaggio di Benedetto XVI.
Qualche mese fa in un incontro per noi fondamentale nella Basilica-Cattedrale di San Marco, parlando della Chiesa in Turchia, Mons. Luigi Padovese disse tra l’altro: «Se, come è avvenuto nei decenni passati, accettassimo come cristiani di non comparire, restando una presenza insignificante nel tessuto del paese, non ci sarebbero difficoltà, ma stiamo rendendoci conto che, come sta avvenendo in Palestina, in Libano e soprattutto in Iraq, è una strada senza ritorno che non fa giustizia alla storia cristiana di questi paesi nei quali il cristianesimo è nato e fiorito, e che non farebbe giustizia alle migliaia di martiri che in queste terre ci hanno lasciato in eredità la testimonianza del loro sangue» (Seconda Assemblea ecclesiale, 11 ottobre 2009).
Il viaggio a Cipro ha mostrato inoltre come la fede cristiana intercetti le domande e i bisogni quotidiani dell’uomo e delle donne di oggi e nello stesso tempo abbia a cuore il travaglio dei popoli (basti pensare al dolore del Papa per la divisione dell’isola). Il modo con cui Benedetto XVI si è mosso a Cipro, in uno scacchiere mediorientale che ha vanamente logorato le intelligenze dei migliori statisti del mondo, è una dimostrazione eloquente che la fede possiede oggi una forte dignità culturale anche sul piano umano e della costruzione del bene comune.
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Il problema più grave in Medio Oriente è quello della violenza. La violenza contro i cristiani, il conflitto permanente tra israeliani e palestinesi, ma anche la violenza tra musulmani: noi tendiamo a vedere solo il terrorismo che colpisce l’Occidente, ma le stragi più grandi sono avvenute ai danni dei musulmani stessi. In Algeria, solo per citare uno tra i tanti esempi, la guerra civile degli anni ’90 ha fatto più di 200.000 morti.
Normalmente si dice che per evitare la violenza occorre favorire l’educazione. E naturalmente è vero, a patto però che si chiarisca di quale educazione si tratta. C’è un’educazione che chiude e rende violenti, un’altra che dissolve la persona spezzando i suoi rapporti con le persone che la generano. Abbiamo bisogno di pratiche educative che sappiano coniugare verità e libertà. Questo è preliminare a qualsiasi discorso sul dialogo.
C’è un dialogo teologico, che nella Chiesa cattolica è affidato al Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso. C’è un dialogo della vita, che tocca tutti i fedeli, in Medio Oriente ma anche nelle Chiese di Europa. Penso alla mia diocesi, a Venezia, e al Veneto, dove sempre più si devono fare i conti con la presenza dei musulmani. E c’è un dialogo che mette a tema le inevitabili interpretazioni culturali di ogni fede religiosa e delle sue implicazioni per l’uomo e la società attuale. La Fondazione Oasis nata a Venezia, ma presente in tutto il mondo, e che si riunirà la prossima settimana a Beirut, situa la sua articolata azione soprattutto a questo livello. Per quest’ultimo aspetto mi pare decisivo che i musulmani sappiano aprirsi all’esperienza dei cristiani d’Occidente. In Occidente i cristiani sono passati attraverso il cesaropapismo e la teocrazia, ma oggi sanno giocarsi e documentare la rilevanza pubblica della loro fede nel pieno rispetto delle società laiche plurali in cui vivono. I musulmani possono trarre profitto da quest’esperienza, così come noi possiamo imparare da loro su altri terreni.
Rispetto a tutte queste questioni brucianti, con il suo carisma, la sua personale testimonianza ed il suo rigoroso giudizio, il Papa è un lungo passo avanti a noi Vescovi, sacerdoti e laici: ora tocca a noi seguirne l’esempio mostrando la suprema “convenienza” dell’essere cristiani oggi.