Oggi c’è l’udienza della Grande Chambre della Corte europea dei diritti sul ricorso presentato dall’Italia, e da molti stati europei, contro la sentenza di novembre scorso che ha vietato l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche. Cesare Salvi, giurista, uomo di sinistra, ex vicepresidente del Senato, ha però molte riserve. Sul metodo e sul merito.
Professore, può una corte internazionale, ispirandosi alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, prevalere sul nostro ordinamento?
In linea di principio le corti sovranazionali hanno il compito di individuare eventuali lacune e limiti esistenti negli ordinamenti nazionali, però in questi anni assistiamo a una tendenza sia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, sia della Corte europea di giustizia ad esorbitare dai propri compiti. La Corte dei diritti per esempio ha esteso molto i confini e gli ambiti del suo intervento, ma questo crea dei problemi perché non si tratta di un organismo che nasce già con una sua legittimazione nella Costituzione italiana.
Secondo lei la Corte dei diritti ha un deficit di legittimità democratica?
C’è un deficit nella misura in cui la Corte non si attiene alla garanzia delle libertà fondamentali per la quale è stata istituita, ma tende ad espandere i suoi compiti e a invadere materie che sollevano scelte di discrezionalità.
Chi occupa lo spazio del conflitto tra Corti europee e Parlamenti? In altri termini, quali sono i criteri e i valori che rischiano di prevalere nell’azione dei giudici?
Le due Corti europee tendono ad assumere una logica di tutela dei diritti individuali senza tener conto né dei corrispondenti doveri, né della necessità di bilanciare i diversi diritti. Da questo punto di vista mi pare che la nostra Costituzione ponga la questione in termini più comprensivi e più ampi.
Può fare un esempio?
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La nostra Costituzione all’articolo 2 prevede diritti individuali, ma prevede anche i corrispondenti doveri di solidarietà. Mi pare invece che nella giurisprudenza delle Corti i diritti individuali di libertà non siano bilanciati e contemperati, con la conseguenza di una sorta di «moltiplicazione» dei diritti secondo una logica prettamente individualista. Essa si manifesta in modo evidente in campo economico, ma non solo.
A proposito di economia e di libertà di impresa, si fa un gran parlare dell’articolo 41.
Altro caso emblematico. La nostra Costituzione riconosce la libertà economica, ma in un quadro complessivo di limiti che comprende la possibilità di orientarli a fini sociali. Nelle corti europee attuali prevale un orientamento individualista, che fa della libertà economica un diritto fondamentale, assoluto. In questo senso possiamo senz’altro parlare di una deriva di tipo ottocentesco.
Con quali conseguenze?
Se la logica è quella dell’esaltazione del diritto del singolo senza tener conto di altri diritti o valori che possono bilanciare, si rischia di oltrepassare, snaturandola, la funzione giurisdizionale. Per stare al merito della questione che viene esaminata oggi, come può essere affrontata in ossequio ai diritti del singolo senza tener conto del principio democratico? Non si possono ignorare gli orientamenti e i valori prevalenti in un singolo paese.
È esattamente quello che ha detto il presidente Napolitano.
Il Capo dello Stato ha fatto un’osservazione molto importante. Queste Corti sovranazionali non tengono conto del fatto che ci sono una storia, una tradizione, dei valori e delle costituzioni nazionali che li esprimono.
Secondo lei davvero il crocifisso lede la libertà dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni?
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Personalmente, in un paese come l’Italia ritengo di no. Dire in maniera così netta e drastica come ha fatto la Corte che l’esposizione del crocifisso, che peraltro in Italia ha un’antica tradizione storica, lede la libertà religiosa, mi pare appunto una tesi eccessiva, astratta, ideologica.
Esiste a suo modo di vedere il rischio che siano i giudici a costruire un’identità europea che dovrebbe avere altre fonti, alti principi ispiratori, altri percorsi?
Il rischio maggiore secondo me è che questa identità europea sia definita da soggetti non legittimati democraticamente. La Corte dei diritti e la Corte di giustizia sono il caso di un problema più generale che riguarda anche la Bce e tutta l’amministrazione europea: sarebbe giusto che queste istituzioni avessero una loro autonomia se l’Europa fosse una democrazia politica, cosa che ora non è.
Qual è il compito della politica nello scenario che ci attende?
A livello politico occorre che nelle sedi democratiche rappresentative certi temi vengono affrontati e discussi in modo democratico e trasparente. Purtroppo in Italia siamo di fronte ad una distruzione di fatto dei poteri del Parlamento, ormai considerato molto più un soggetto che deve seguire le decisioni del governo piuttosto che una sede di discussione e di decisione democratica.
Cosa può fare invece la giurisdizione?
La nostra Corte costituzionale, a mio avviso, è andata troppo in là nella cessione di sovranità giurisdizionale: ha accettato con troppa facilità il prevalere del dettato delle due Corti europee a volte anche sulle nostre stesse norme costituzionali. Auspico che la Consulta abbia modo di riconsiderare in gran parte alcuni principi che ha affermato a questo riguardo. L’esempio della Corte costituzionale tedesca mi pare significativo e va studiato con attenzione.
(Federico Ferraù)