«Questo Papa ha metaforicamente piantato una nuova croce in quelle terre». Ilsussidiario.net ha fatto con Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso, un bilancio del viaggio di Benedetto XVI a Cipro. Una terra difficile, tra Europa e Asia, teatro di uno degli ultimi muri oggi ancora in piedi. Alla ricerca, dice ancora Magister, «di una “sapienza naturale” che può costituire un “alfabeto” parlato contemporaneamente dall’occidente e dal mondo islamico».



Qual è il significato storico di questo primo viaggio di un pontefice a Cipro?

Una valutazione complessiva è legata al fatto che Cipro è innanzitutto un simbolo dei primi tempi del cristianesimo e del diffondersi della Chiesa nell’ecumene del mondo allora conosciuto. Oggi rimane un crocevia tra Asia ed Europa, tra oriente e occidente. Rappresentato il primo dalle grandi chiese dell’ortodossia separate da Roma, e segno – attraverso la chiesa cattolica che ha sede a Cipro – del cammino ecumenico che attende la Chiesa di Roma.



È questo che spiega il grande valore della consegna dell’instrumentum Laboris in vista del prossimo Sinodo per il Medio oriente, in autunno prossimo?

Certamente. Le chiese cristiane che vivono all’interno di un mondo che era quello cristiano delle origini, e che oggi lo è solo nella misura in cui queste presenze continuano a essere vive, fanno di quelle comunità un «libro aperto» davanti agli occhi del mondo. Per la Chiesa il futuro di queste terre è legato alla presenza di queste popolazioni cristiane, minoritarie ma straordinariamente significative.

A proposito delle ultime tensioni in Medio oriente, il Papa ha detto che di fronte alla violenza «la soluzione è la pazienza del bene». È un messaggio più religioso o più politico?



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È un concetto che Benedetto XVI ha ribadito anche in altre occasioni. Dalla Chiesa non c’è da attendersi, come sua espressione originale, un progetto politico, una soluzione riguardante gli equilibri internazionali, perché la sua ragione d’essere è l’annuncio del Vangelo. Questo Papa ha metaforicamente piantato una nuova croce in quelle terre. Non è un caso che sia stato lo stesso Benedetto XVI a dire che il viaggio a Cipro è una continuazione del viaggio del 2009 in Terra santa. Ha dedicato un’intera omelia alla croce, vera e unica via di salvezza e di liberazione dal male.

 

Un messaggio che va al di là delle salvezze provvisorie tipiche del terreno politico.

 

Sì ed è per questo che ha così insistito sulla virtù della pazienza. Che non è un atteggiamento rinunciatario, in attesa di qualcosa portato da chissà chi, ma il saper riconoscere che nella storia agisce un principio di salvezza che viene dall’alto, e che è quello che rende non sterile il lavoro che l’uomo fa per cercare di migliorare la vita sulla terra.

 

Altro tema centrale è stato quello del dialogo. Come lo ha affrontato Benedetto XVI?

 

In un discorso poco notato dai media, quello pronunciato sabato davanti al corpo diplomatico, c’è un passaggio molto interessante relativo al rapporto coi musulmani. È là dove il papa parla delle radici generali della sapienza politica, che risalgono a Platone e Aristotele. Anche l’islam ha fatto riferimento a queste due figure capitali del pensiero greco nell’ispirare la sua visione del mondo. È un richiamo importante, perché si riferisce a un periodo del pensiero musulmano che oggi si è inaridito, quello in cui la cultura musulmana guardava e recepiva con grande apertura gli apporti della sapienza greca, risultati determinanti per l’occidente.

 

Dove sta l’importanza di questo rilievo?

 

La tesi è: l’islam non è strutturalmente incapace di trovare un terreno comune con l’occidente, perché quel precedente storico dimostra che l’incontro è avvenuto. Secondo Benedetto XVI esiste una “sapienza naturale” che può costituire un “alfabeto” parlato contemporaneamente dall’occidente e dal mondo islamico.

 

Sempre nel discorso al corpo diplomatico, il Papa ha detto che «promuovere la verità morale nella vita pubblica esige uno sforzo costante per fondare la legge positiva sui principi etici della legge naturale». Che senso ha questo richiamo fatto sulla base di termini che potremmo definire ormai “estranei” al mondo della cultura?

 

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È il fondamento di quella “sapienza”. Cipro è il simbolo dell’incontro tra la cultura greca, il potere e la legge di Roma e la fede di Gerusalemme. Il papa si è trovato nell’opportunità di riandare agli elementi costitutivi comuni della nostra civiltà, che possono consentire, con la sapienza e la pazienza necessaria, di affrontare in modo costruttivo quelle divisioni di cui ancora Cipro purtroppo è un grande segno, reso manifesto dal muro che l’attraversa.

 

Il papa è arrivato a Cipro in un momento non facile, dopo il blocco da parte di Israele degli aiuti a Gaza e dopo la morte in Turchia del vescovo Padovese. Quanto secondo lei questi fattori hanno pesato sul viaggio?

 

La mia impressione è che la Chiesa e il Papa abbiano fatto di tutto per non farsi “imprigionare” da questo fatto tragico. Benedetto XVI ha tentato, è vi è in larga parte riuscito, a non legare l’esito di un messaggio che si vuole per il futuro, non solo immediato, alle vicende di un giorno. Che a loro volta restano però emblematiche, e non va dimenticato, di una situazione generale nella quale si trovano i cristiani di queste terre. Tutti i cristiani che vivono in Medio oriente sanno di essere continuamente esposti al pericolo a causa della loro fede, e la loro testimonianza è legata ogni volta ad una scelta coraggiosa.

 

Il Papa ha rinnovato l’appello alla comunità internazionale a intervenire in Terra santa contro la violazione dei diritti umani e del diritto internazionale di cui sono vittime i palestinesi. Quanto può contare il richiamo della Chiesa?

 

Dal punto di vista politico, il ruolo che possono svolgere la Chiesa e il Papa è a mio giudizio modesto. Sono decenni che la Chiesa si esprime sul dramma israelo-palestinese, l’ascolto di questi appelli è minimo e la capacità di incidere, purtroppo, è altrettanto ridotta. La Chiesa ha un ruolo minore, come è ormai minore il ruolo dei cristiani in quelle terre. Non è tanto una ricetta politica che la Chiesa è in grado di offrire, ma le ragioni di una speranza che vale per tutti gli attori politici disponibili a prendere sul serio la posta in gioco della pace.