Un lieto fine tutt’altro che annunciato. Una storia – come troppe – di degrado umano e umiliazioni dalla quale, alla vittime, sembra in genere impossibile uscirne; questa volta dall’esito inaspettato. Siamo nel mondo della prostituzione. Il mestiere più antico del mondo, la chiamano. Sarebbe meglio dire la schiavitù più antica. Salvo chi la assume, in libertà, come scelta di vita. Di norma, non è mai così. Non di certo nel nostro caso. Parliamo di una donna romena costretta a vendersi, nel nostro Paese, da un connazionale. Botte, minacce, ritorsioni. Ecco il metodo con i quali i protettori tengono in strada le “loro” donne. Spesso ragazzine che ancora non hanno raggiunto la maggiore età.



La stessa sorte era capitata alla lucciola romena, obbligata a prostituirsi, a Bologna, sotto pressanti intimidazioni. Arriva in Italia nel 2005. Probabilmente grazie a ingannevoli promesse di una vita normale. A tante succede così. Giunta a destinazione, deve riporre i suoi sogni nel cassetto, diventare una donna di strada, sotto le grinfie del suo aguzzino. Poi, si innamora di un cliente, che la ricambia. E la salva.



 
LA PROSTITUTA E IL CAMIONISTA SCAPPANO INSIEME –
Lui è un camionista di 28 anni. La ragazza romena ne ha 24. Il suo protettore era stato arrestato nel 2007 e nel 2008 aveva patteggiato una pena a tre anni per sfruttamento della prostituzione, in parte scontata. A fine giugno di quest’anno esce di carcere, si mette sulle tracce della sua fonte di guadagno e la trova. Ancora una volta, le minacce di morte piegano la volontà della ragazza. Riprende a prostituirsi. Questa volta non è sola. Tre settimane fa, il suo ragazzo la porta via. Vuole liberarla dal protettore. Cambiano numero di telefono, fuggono e si nascondono in luoghi diversi. Sembra tutto inutile. Lui riesce sempre a trovarli. Li perseguita e li minaccia di morte. La paura di ritorsioni è grande, ma non rimane che un’alternativa.



 

Il camionista bolognese e la ragazza romena decidono di rivolgersi alla autorità. Forse non lo avevano ancora fatto per paura. In fondo l’uomo era già uscito di cella una volta e avrebbe potuto farlo anche in seguito. Avrebbe potuto rintracciarli di nuovo, più agguerrito che mai. Oppure, semplicemente, per scarsa fiducia nella legge. Sta di fatto che si recano dai carabinieri della compagnia di Borgo Panigale e lo denunciano. I militari lo arrestano. Ora l’uomo si trova in carcere. Si è deciso di procedere al fermo per evitare reazioni inconsulte che potessero mettere a repentaglio la sicurezza dei due e impedire che fuggisse all’estero. Su di lui gravano accuse pesanti: favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione e tentata induzione. Reati aggravati e continuati. Attualmente è a disposizione del pm della Procura felsinea, Antonello Gustapane. Una conclusione inattesa, date le premesse. Una vicenda, per fortuna, non del tutto inedita. Non è la prima volta che una prostituta riesce a gettarsi la sua storia di prevaricazioni alle spalle. Quando questo accade, vale la pena raccontarlo.

 

 

L’ARRIVO IN ITALIA CON L’INGANNO DI UNA VITA MIGLIORE – E’ giusto di pochi giorni fa la notizia di una caso simile. Risale al 5 agosto e riguarda ancora la storia d’amore tra una squillo e un cliente. Siamo a Pavia. Cinque anni fa una ragazza nigeriana di 27 anni arriva in Italia sotto l’effetto di una vana speranza: un impiego da cameriera, che l’avrebbe sottratta alla miseria. A illuderla era stata una connazionale di 37 anni, Anna Ebizugbe. La donna, una volta che la ragazza sbarca sulla nostra penisola, la mette sulla strada, minacciandola di riti voo-doo in caso di rifiuto.

 

Poi, due anni fa, la svolta. La ragazza conosce un cliente di 35 anni che si innamora di lei. Tra i due nasce una storia e lui la convince ad uscire dal giro, a ribellarsi alla sua sfruttatrice. Ma la donna non demorde. Neanche lei come l’uomo rumeno e disposta a rinunciare agli incassi. Continua a pretendere 1.500 euro al mese dalla ragazza. Pochi mesi fa la coppia si decide, e denuncia la situazione alla polizia. La mattina del 5 la Squadra Mobile di Pavia arresta la protettrice. Le accuse sono di estorsione, sfruttamento della prostituzione e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

 

 

 

Una studentessa di un liceo in  Romania viene rapita nelle campagne di un piccolo paese e portata in Italia. Lì i sequestratori la segregano al quinto piano di un appartamento nei pressi di Ponte Nomentano, a Roma, e la costringono a prostituirsi. Il compito di tenerla di tenerla d’occhio spetta ad una connazionale 25enne. La giovane ha solo 16 anni, e per farsi salvare spera nell’aiuto del papà. Quando l’aguzzina ha un attimo di distrazione, coglie la palla al balzo, e riesce a mandare un sms al padre: «Aiuto, sono a Roma, mi picchiano e mi costringono a fare la prostituta».

 

L’ARRIVO DEL PADRE – Il padre, non appena vede il messaggio prende il primo treno alla volta della Capitale. Giunto a destinazione, mostra il messaggio ai Carabinieri. Il Nucleo Radiomobile di Roma si mette immediatamente alla ricerca del cellulare. Riesce a rintracciarlo. E’ il 30 giugno 2010 e i militari trovano la ragazzina al quinto piano dello stabile, chiusa in una stanza, una specie di sgabuzzino. Perquisendo l’appartamento trovano telefoni cellulari, un migliaio di euro e vari oggetti che comprovavano l’attività della 25enne. La ragazza è stata arrestata, e si trova nel carcere di Rebibbia con l’accusa di induzione e sfruttamento della prostituzione minorile e sequestro di persona. E la ragazzina ha potuto riabbracciare il papà.

 

 

Da questi episodi si intravedono barlumi di speranza. Episodi, per fortuna, non del tutto isolati. Inutile nascondere, tuttavia, che la tratta delle schiave in Italia è un problema di enormi proporzioni. Abbiamo chiesto di parlarcene a Roberto Gerali, responsabile nazionale del settore prostituzione della Comunità Giovanni XXIII, l’associazione fondata da Don Benzi che da anni si occupa della cura dei più emarginati della società E di salvare le ragazze dalla strada. «Abbiamo 20 anni di esperienza, 20 gruppi di contatto e operiamo in quasi tutta Italia. Possiamo affermare, senza ombra di dubbio che quasi tutte le ragazze, salvo rarissimi casi, sono costrette alla prostituzione» Perché, allora, diversi dati attestano che la coercizione sia attorno al 10 per cento? Gerali, su questo, ha le idee molto chiare: «I vari sondaggi e le indagini, non fanno testo, non hanno fondamento. Lo abbiamo fatto presente tante volte anche al ministero degli Interni. Chiunque chieda ad una prostituta se eserciti liberamente, risponderà di sì. Sono costrette a dire che sono libere». In particolare, è sfruttata la totalità delle squillo straniere. «E in Italia, sono circa il 98 per cento».

 

“UCCIDERO’ I TUOI CARI” – I METODI DEL RACKET – I metodi con i quali sono forzate a vendersi, sono tra i più barbari immaginabili: «Minacce di morte, anzitutto». Ma non solo. Il racket della prostituzione è spietato. «Per lo più si tratta di mafia rumena, qualche albanese». E, in caso di rifiuto, «le minacce si estendono ai familiari, ai cari, alle sorelle, ai figli delle ragazze». La dinamica con la quale sono attratte in Italia, è più o meno sempre la medesima. «Induzione, false promesse, rapimenti». Impressionante il loro numero. «Oltre 100mila di sicuro. Di cui, anche un 35% di minorenni». Liberarle è sempre più difficile, le strategie del racket si affinano. «Ad esempio – dice Gerali – ora tendono a dare alle ragazze un tot, quanto basta a sopravvivere. Assieme alla paura, è un ottimo deterrente perché non si ribellino». Non solo. Dal gennaio 2007 la Romania è in Europa e il racket gioca su questo: «”E’ inutile chiamare la polizia”, dicono loro, “non possono neanche arrestarti, stai qui legalmente”».

 

 

 

Ad alcune il destino riserva un via d’uscita. «In vent’anni noi ne abbiamo liberate circa 7000», racconta Gerali. «Ne salviamo circa 100-150 all’anno. Assieme a tutte le associazioni, saranno circa un migliaio le ragazze tolte dalla strada. Di queste, solo l’1 per cento vi fa ritorno». I casi in cui i protettori tornano a farsi vivi sono rarissimi. «E’ praticamente impossibile. E’ accaduto qualche volta,agli inizi. In ogni caso abbiamo una rete nazionale che usiamo moltissimo. E spesso facciamo cambiare loro Provincia o Regione». Di sicuro,ci tiene a sottolineare, «rimanere in strada comporta rischi infinitamente più elevati. Come la morte.

Perché una prostituta dovrebbe ribellarsi, anzitutto, alla paura? «Il nostro metodo è semplice», dice Gerali. «Facciamo capire che c’è qualcuno che vuol loro bene, Dio anzitutto. C’è un incontro tra persone e persone. Vengono nelle nostre famiglie, nelle nostre realtà, e rinascono. Tornano ad avere una vita normale e ritrovano se stesse». Il tutto ha una dinamica molto concreta: «le inseriamo in una realtà umana, in una vita famigliare normale. Vanno a scuola, lavorano. Tornano ad essere ciò che sono».

 

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