La Bp si prepara a trivellare nel Golfo della Sirte, nelle acque territoriali libiche a pochi chilometri dalle coste italiane. E i politici del nostro Paese scendono sul sentiero di guerra. Anche perché una catastrofe ambientale come quella della Deepwater Horizon, se invece che nell’Atlantico si verificasse in un mare chiuso come il Mediterraneo risulterebbe ancora più disastrosa. Stefania Prestigiacomo, ministro dell’Ambiente, e un folto gruppo di deputati e politici locali siciliani sono dunque scesi in campo per chiedere la moratoria delle trivellazioni a rischio sulle nostre coste. Questa mattina al ministero si è tenuto un incontro, per imporre lo stop alle esplorazioni di petrolio e gas più a rischio non solo in Italia ma nell’intero bacino del Mediterraneo.



Quelle nei pozzi profondi , che riguardano il petrolio ma anche il gas metano, oltre ai giacimenti ad alta pressione o alta temperatura. Questo «alla luce del disastro ambientale nel Golfo del Messico» provocato dalla enorme falla aperta dalla Bp, «per dar tempo all’Europa di definire una strategia nuova e specifica, calibrata sul Mediterraneo», scrive la Prestigiacomo in una nota anticipata ieri al Financial Times.



Bersaglio numero uno è il progetto con cui la Bp intende cominciare già nei prossimi giorni le trivellazioni esplorative nel Golfo della Sirte, nelle acque territoriali libiche a poca distanza dalla Sicilia. Progetto che deriva da accordi firmati nel 2007 e ora concretizzati tra crescenti polemiche.

Già protagonista di una norma che stoppa le nostre esplorazioni petrolifere, inserita dal Governo nel nuovo codice ambientale, la Prestigiacomo chiede di applicare una variante della proposta formulata da Gunther Oettinger, commissario Ue all’Energia. Oettinger propone una secca moratoria di tutte le attività esplorative nelle acque di competenza della Ue. Ovvio però che questo non garantisce i Paesi dell’Europa del Sud dai rischi legati a disastri sulle coste africane. Stefania Prestigiacomo intende dunque proibire solo le attività più esposte a rischi, ma in tutto il bacino del Mediterraneo. La sua strategia consiste nel mobilitare subito le diplomazie europee perché si attivino con i governi dei Paesi che si affacciano sul mare Nostrum.



 

«Su un tema come questo i Paesi euro-mediterranei devono parlare con una voce sola – sottolinea la Prestigiacomo -. Il Mediterraneo è comunque un’area chiusa, ad alta densità di insediamenti, dove un inquinamento come quello provocato in America dalla Bp si riflette rapidamente sulle coste dei Paesi vicini, se non sull’intero bacino». Il banco di prova – propone quindi il ministro – potrebbe essere «una comune interlocuzione europea con il governo libico anche per avere informazioni più precise sulle trivellazioni previste, ad esempio se si tratta di un giacimento di gas o di greggio nonché sugli standard di sicurezza stabiliti».

 

Ma non sono solo gli accordi di Gheddafi a destare preoccupazione. Ancora più problematiche sono le esplorazioni pianificate proprio in Sicilia, al largo delle Egadi, dalla società internazionale San Leon Energy. Già negli anni ’80 la San Leon aveva cercato il petrolio nella zona, trovandone in abbondanza. Con i 10 dollari al barile di allora tutto fu però lasciato in sospeso. Ora però i petrolieri intendono ricominciare a scavare per estrarre il greggio.

 

Scelte sulle quali gli ambientalisti esprimono la più totale contrarietà. «Assurdo: il Mediterraneo non è un mare qualsiasi; pur rappresentando solo l’1% della superficie dei mari del mondo, presenta un concentrato di biodiversità, di ambienti e di paesaggi introvabile altrove». Parola di Fulco Pratesi, presidente onorario del Wwf Italia, che così commenta la notizia delle prossime trivellazioni di Bp nel Golfo della Sirte. «La minaccia che incombe su questo gioiello non solo naturalistico – aggiunge Pratesi -, con la previsione di trivellazioni petrolifere nel Golfo della Sirte a ben 1.700 metri di profondità (superiore a quella del Golfo del Messico), potrebbe rappresentare un colpo gravissimo alle numerosissime specie presenti nel Mediterraneo, molte delle quali uniche al mondo. Ci preoccupa moltissimo – sottolinea il presidente Wwf – la mancanza a oggi di regole e norme, trattati internazionali e convenzioni globali che mettano al riparo questo piccolo e prezioso mare dalle minacce petrolifere che stanno assassinando le coste meridionali degli Usa».

 

E per capire quali siano i rischi reali che corrono le coste italiane, basta guardare la mappa delle piattaforme (petrolifere e gasifere) attualmente attive nei nostri mari. Il Comitato abruzzese per la difesa dei beni comuni ne ha contate ben 115, in gran parte al largo delle coste adriatiche e siciliane. Oltre al numero delle piattaforme, la mappa riporta anche alcune informazioni molto utili come il proprietario dell’impianto di estrazione e la data di messa in funzione. La maggior parte sono dell’Eni e molte superano i 30 anni di età, in alcuni casi risalendo addirittura al 1968. E oltre alle 115 piattaforme attive ne sono state contate altre 54 dismesse.

 

 

Un disastro come quello del golfo del Messico peggiorerebbe la situazione del Mediterraneo, che già di per sé è in equilibrio precario. Come scrive infatti il Corriere del Ticino, sono sette le specie «super-minacciate» del mare Nostrum:

 

Tipica del Mediterraneo ha come area privilegiata il Santuario dei Cetacei. Spesso osservata nelle acque intorno a Lampedusa, può raggiungere i 20 metri e pesare 80-90 tonnellate. E’ una delle balene più veloci e può andare oltre i 40 km/h, tanto che è stata soprannominata il «levriero del mare».

 

Specie minacciata dalla pesca non sostenibile. È una colonia di piccoli organismi molto sensibile all’inquinamento, che si trova sempre più in profondità. Tra le barriere coralline nelle acque profonde la più nota è a Sud di Santa Maria di Leuca, cioè la punta meridionale della Puglia.

 

Nel Mar Mediterraneo era assai abbondante almeno fino alla Seconda guerra mondiale, mentre dagli anni ‘40 la specie pare aver subito un declino abbastanza drastico e la si trova con relativa frequenza solo nei mari Jonio ed Egeo e vicino allo Stretto di Gibilterra.

 

Dopo anni di allarme estinzione, la sua presenza è di nuovo in aumento e conta circa 500 esemplari, stanziali nelle acque di Turchia, Grecia (isole Sporadi), coste nordafricane, Croazia e Istria. Gli ultimi avvistamenti si sono verificati proprio in Italia, da Portofino all’arcipelago toscano e alle isole Egadi.

 


 

Manto chiaro e becco rosso corallo. Si nutre soltanto di pesce ed è sopravvissuto in alcune piccole isole dove si contano in totale 500 coppie. Contrariamente al gabbiano comune è meno in grado di adattarsi, non cerca cibo nelle discariche ed è un animale particolarmente timido. La sua presenza è un indicatore importante del buono stato delle nostre coste.

 

– La più famosa è la Caretta Caretta, ma c’è anche la tartaruga Liuto. Minacciate dalla pesca incontrollata, si riproducono in Nord Africa, Turchia e Grecia, mentre per la nutrizione preferiscono alcune spiagge in Italia e lungo le coste della Libia.

 

È la specie più pregiata per l’industria alimentare di tutto il mondo. In difficoltà a causa della pesca su larga scala, rischia di non essere più commerciabile anche perché ha una maturità sessuale tardiva. È in attesa di entrare a far parte delle specie protette dalla Cites, una convenzione internazionale per proteggere gli animali a rischio.

 

(Pietro Vernizzi)

 

La Mappa delle piattaforme marine attive in Italia

 


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