Nella sua rubrica su La Repubblica, rispondendo ad una lettera, ieri Corrado Augias titola che “Il Vaticano è lontano dai problemi reali”. Il riferimento è al messaggio del Papa per la XXVI Giornata Mondiale della Gioventù, già oggetto di incomprensioni e critiche da parte della stampa. Il commentatore se la prende con quello che chiama «il vero handicap della Chiesa di Roma», ossia «il distacco dai problemi reali» della gente (in questo caso, dell’occupazione giovanile), e, con tono da professore dinnanzi ad uno suo studente, asserisce che «questo Papa continua ad esprimersi male» (ecco il motivo per il quale non lo comprendono, lo fraintendono).



Così facendo, gli sfugge, però, la questione centrale sollevata dal lettore del quotidiano nella sua lettera. Una questione seria, che avrebbe richiesto una risposta adeguata. «Non capisco perché il desiderio di un impiego sicuro, della possibilità di formare una famiglia, di crescere dei figli, di avere una casa, debba essere messo in relazione col fatto che la cultura attuale tende a escludere Dio», scrive Francesco Ribeiro.



Una domanda, questa, che costituisce la chiave di lettura corretta del pensiero di Benedetto XVI. Evaderla significa porsi in una prospettiva di estraneità con lo spirito e la lettera del Papa, collocarsi nella posizione più favorevole per non comprendere le sue parole.

In un famoso film western, John Wayne fa dire al personaggio da lui interpretato, che non rinunciava a lottare contro le avversità della vita che si accanivano su di lui: «Bisogna pur avere una ragione per alzarsi alla mattina». Una società la cui cultura dominante esclude dall’orizzonte della vita il Mistero, ciò di cui tutto è fatto e a cui tutto tende, non favorisce la scoperta di una ragione per la quale alzarsi al mattino.



O, meglio, lascia che a decidere di ogni nuova giornata – se la affronteremo con tenacia o se ci lasceremo sopraffare dalle circostanze che ci incalzano – siano la nostra reattività, l’istintualità, la stanchezza, la noia o la paura di vivere (una tendenza, questa, particolarmente accentuata nei giovani, le cui difese immunitarie contro i “nemici” della loro vita sembrano essere sempre più deboli, quasi neutralizzate dai raggi invisibili di una sorgente radioattiva diffusa nell’ambiente). Senza una ragione adeguata non si combatte, ci si arrende senza neppure l’onore delle armi.

Il Papa sa bene di che stoffa sono fatti i “problemi reali” dei giovani: lo studio, il lavoro, la casa, la famiglia, i figli e la loro educazione non gli sono sconosciuti. Egli conosce la “fatica del vivere”, ma sa che questa fatica – che non può essere eliminata dalla vita (neppure Gesù è venuto per liberarci da essa!) – la si può affrontare con dignità e coraggio, fino a uscirne da vincitori, solo se un giovane ha la coscienza dello scopo della vita, del suo senso, e, dunque, del senso anche della battaglia che ogni giorno deve affrontare («militia est vita hominis super terram», la vita è una continua battaglia, dice la Bibbia).

Se manca lo scopo per cui combattere, i giovani (e gli adulti) rinunceranno presto alla lotta per lo studio, per il lavoro, per trovare una casa, per mettere su famiglia, per generare i figli e per educarli. E, così, sarà più facile al potere schiacciarli o emarginarli, illudendoli con vuoti discorsi politici, per poi deluderli voltato l’angolo della storia, impunemente, sapendo che essi non troveranno in loro stessi la forza per lottare contro di esso, per affermare ciò che hanno a cuore, ciò di cui è fatto e per cui è fatto il loro cuore.

 

 

«La secolarizzazione – ha affermato Benedetto XVI due anni fa –, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla Trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana». E, senza Dio, non è presente lo scopo per cui vale la pena vivere. Nessuno come i giovani cerca potentemente nella propria vita la bellezza, il bene, la giustizia, la pace, l’amore, la felicità, come scopo del loro essere e del loro agire.

Il lavoro come lo studio, la famiglia, la casa e l’impegno sociale sono in funzione di questo desiderio. Questa domanda rimane accesa, viva, se non si censura la possibilità di una risposta ultima ad essa, che da sempre l’uomo chiama Dio. Il Papa non è lontano dai “problemi reali” dei giovani, è più vicino ad essi – vi è “dentro”, al cuore di essi – più di chiunque altro. Ha la lucida consapevolezza che per affrontarli occorre andare alla loro radice, che è il cuore. Una radice con non delude, non tradisce mai.

«La cultura attuale, soprattutto in Occidente, tende ad escludere Dio», dice. Ma ogni tentativo di soluzione dei problemi dei giovani non può essere costruito sulla negazione che una risposta al loro cuore esista, e che essa si sia fatta conoscere, anzi incontrare, in una forma umana, accessibile ad essi: Gesù Cristo.