Cacciata (in apparenza) dalla porta, l’eugenetica rientra dalla finestra. E con che forza! Nell’ultimo numero del Journal of Medicine and Phylosophy, si spiega un fatto nuovo: alcuni filosofi ormai reputano obbligatorio “migliorare” la specie umana tramite le nuove tecnologie, anche obbligando i riottosi. Gli autori dell’articolo mettono in questione quest’obbligo, ma quello che è chiaro è che l’eugenetica è tornata.
Uno studio di qualche anno fa (JAMA, novembre 2000) mostrava la percentuale di medici europei che pensa che la morte sia preferibile ad avere un handicap. I valori sono davvero alti: se si parla di vivere con handicap mentale grave, i medici che pensano che sia meglio vivere piuttosto che morire va dall’ 1% (Olanda) al 26% (Italia); mentre quelli che pensano che piuttosto che morire, sia meglio vivere anche con un handicap fisico grave va dall’8% (Olanda) al 63% (Ungheria).
Questo dato è inquietante, perché mostra come tra gli stessi medici, che dovrebbero mettere il curare come primo fine del loro lavoro (tranne quando la cura sia dichiaratamente inutile), c’è un senso di inutilità nel curare chi ha una disabilità grave, tanto che percentuali altissime di loro pensano che è meglio per il paziente con disabilità grave morire. Oltretutto, questo valore dato alla vita umana era direttamente in relazione con la tendenza che i medici stessi hanno a sospendere le cure in caso di prognosi grave.
Questi dati mostrano una paura verso la disabilità in sé e verso il limite che acquisterebbe la propria vita se perdesse certe caratteristiche, e ci riportano alla recente indagine Censis che mostra (dicembre 2010) che i nostri contemporanei hanno perso un dato importante della loro umanità: il “desiderio”. Per il Censis, appagati i traguardi che ci si prefiggeva in passato (dalla casa di proprietà alla possibilità di andare in vacanza o possedere beni) ci si confronta oggi con la frenetica rincorsa a oggetti «in realtà mai desiderati».
Ma il desiderio non cala quando sparisce la materia da desiderare, ma quando crolla miseramente l’io umano, che ha come caratteristica intrinseca proprio una salutare insoddisfazione perché, come scriveva Montale, “tutte le immagini portano scritto: Più in là”. È il desiderio che connota l’uomo, e quando sparisce il desiderio, tutto si immiserisce, si tenta di pianificare tutto perché il desiderio è capace di affrontare le sfide (della malattia, della sfortuna), la perdita del desiderio invece ha paura di tutto, è fobica, si vuole sbarazzare di ogni segno di una realtà che non sa gestire, e apre ad aborto, eutanasia, droga.
Ecco da dove rinasce l’eugenetica: da una profonda disabilità affettiva. Esistono tre forme di disabilità: quella fisica, quella mentale e quella affettiva. Solo che della terza non si parla. E chi non ha le prime due forme di disabilità ha potere sulle altre, dato che può muoversi con più efficacia. Ma quasi sempre soffre della terza, e vuole nasconderla.
E meglio la nasconderà se riesce a far sparire ogni traccia (dai media, dalle strade, dalle scuole) delle altre due disabilità, perché la disabilità visibile smaschera “per simpatia” la disabilità affettiva invisibile, di chi vive freneticamente e ossessivamente tra i capricci per non svelare la perdita di desiderio.
La società moderna vola all’eugenetica con un percorso strano: soffre di disabilità affettiva, la maschera con un’illusione di autonomia e vuole distruggere chi gli ricorda che questa illusione è solo una finzione, perché la realtà dell’uomo è, che lo vogliano o no, la dipendenza dagli altri.