A leggere i titoli di Repubblica.it e Corriere.it, ieri, pareva che l’intero discorso di Benedetto XVI al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede riguardasse i timori della Chiesa per un’educazione sessuale fuorviante rispetto alla dottrina cattolica. In realtà in quel discorso – fa notare Sandro Magister, vaticanista de L’Espresso – c’è anche altro.
Benedetto XVI nel tradizionale discorso al corpo diplomatico è tornato a parlare di libertà religiosa.
«Scorrendo i discorsi che il Papa ha tenuto anno dopo anno ai diplomatici, in genere nei lunedì successivi all’Epifania, si può notare che questo è il primo discorso interamente centrato sul tema della libertà religiosa. Credo che questo dipenda da due fattori. Innanzitutto il fatto che la Giornata mondiale della pace, che si è celebrata lo scorso capodanno, aveva per tema esattamente la libertà religiosa. Che non può non avere una dimensione politica: essa è “misura della realizzazione del suo destino (dell’uomo, ndr) e della costruzione della comunità a cui appartiene”. E in secondo luogo, i recenti avvenimenti che hanno interessato i cristiani e che hanno portato prepotentemente in primo piano il problema nella sua drammaticità».
Essa dunque è al primo posto nelle preoccupazioni del Pontefice…
«La mia convinzione è che i discorsi di Benedetto XVI a carattere geopolitico, come quello di ieri, abbiano nelle pieghe una grande visione teologica, una vera e propria teologia della storia, sempre presente anche se non sempre “visibile”. Nel suo discorso il Papa l’ha esplicitata in modo fuggevole nel secondo capoverso: “nei nostri cuori e nel mondo intero risuona ancora l’eco del gioioso annuncio che è brillato venti secoli or sono nella notte di Betlemme, notte che simboleggia la condizione dell’umanità, nel suo bisogno di luce, d’amore e di pace”».
Perché dà rilievo a questo passaggio?
«La luce che si accende nelle tenebre è la luce del Dio che si fa Uomo. È questa la chiave del discorso e da essa dipende il resto. È un breve accenno, come un lampo. Lo si capisce se si torna indietro di tre anni, al discorso che Benedetto XVI tenne al corpo diplomatico nel gennaio del 2008. I contenuti di quel discorso, a sua volta, rimandano all’omelia dell’Epifania di pochi giorni prima: una sintesi, a mio avviso rimasta finora ineguagliata nel pontificato, della visione teologica che Benedetto XVI ha della storia. In questa visione la Chiesa è il “già e non ancora” del nuovo mondo: essa è chiamata a mostrare al mondo qual è la vera via della pace».
E la teologia di Ratzinger fonda allo stesso modo il discorso di ieri al corpo diplomatico…
«Sì. Anzi, a mio modo di vedere l’accenno alla notte di Betlemme è il vero tocco di Ratzinger in un discorso sostanzialmente tecnico, preparato diligentemente dagli uffici della Segreteria di Stato».
Il Papa ha rinnovato ai governi musulmani l’appello al rispetto dei cristiani e a garantire libertà di fede e di espressione. Non hanno pesato le polemiche venute dall’Egitto qualche giorno fa?
«Benedetto XVI non ha risposto direttamente alle parole, devo dire maldestre, del grande imam di Al Azhar. Non solo non lo ha fatto lui, ma nemmeno il portavoce Federico Lombardi. Fermo restando il rifiuto di entrare nella polemica in forma diretta, il Papa non ha fatto altro che ribadire la sua convinzione, e cioè che parlare e intervenire su questi temi è non solo possibile e legittimo ma doveroso, e va fatto. E il richiamo all’Iraq fa senz’altro venire in mente l’attacco alla chiesa siro-cattolica di Baghdad del 30 ottobre».
In un passaggio si dice che in diversi paesi «l’ordinamento giuridico o sociale si ispira a sistemi filosofici e politici che postulano uno stretto controllo, per non dire un monopolio, dello Stato sulla società».
«Non è un caso che poco dopo si menzionino la Cina e Cuba. È il richiamo inevitabile alle ideologie di matrice marxista, che sopravvivono oggi in particolare in quei due paesi, ma anche in altri stati del sudest asiatico, come il Vietnam».
Il Papa esorta a tutelare la libertà di educazione da «progetti di legge che rischiano di creare una sorta di monopolio statale in materia scolastica», come avviene in America latina. È soltanto una sfida del Sudamerica?
«No, e infatti l’esortazione di Benedetto va poi a “tutti i governi”. Ma il richiamo all’America latina, che giunge inatteso, si spiega col fatto che in quei paesi si sta verificando, con qualche anno di ritardo, un fenomeno tendenziale già visto in Europa e nel Nordamerica: l’ingresso prepotente, negli istituti politici e nelle regole, di una cultura che in campo bioetico sostiene l’aborto, l’eutanasia, la fecondazione artificiale in tutte le sue forme più estreme ed artefatte. Insieme a questo c’è il fenomeno di una rivalsa dello Stato in nome dell’educazione pubblica, specialmente in alcuni paesi dell’America latina, di cui la Chiesa è molto preoccupata. Ma c’è un altro punto in cui il Papa fa riferimento alla scuola».
Ritorniamo dunque in Medio oriente…
«Il Papa incoraggia “ad accompagnare la piena tutela della libertà religiosa e degli altri diritti umani con programmi che, fin dalla scuola primaria e nel quadro dell’insegnamento religioso, educhino al rispetto di tutti i fratelli nell’umanità”. È un richiamo a purificare l’educazione scolare, specie negli anni iniziali dell’insegnamento, da forme di ostilità nei confronti di persone appartenenti ad altre fedi. Non è un mistero che ad esempio i libri di testo in uso nelle scuole dei territori occupati siano di una violenza inaudita contro gli ebrei».
Dobbiamo attenderci di trovare sui giornali dei servizi centrati sul problema dell’educazione sessuale?
«Temo di sì, perché qualcosa del genere è appena avvenuto con i lanci e i primi servizi sui quotidiani online, come hanno fatto Corriere e Repubblica. Che hanno preso un tema sì presente nel discorso papale, ma facendone quasi l’emblema dell’intero discorso».