Il comitato per l’islam si è riunito al Viminale. Tra le proposte, l’uso dell’italiano per i sermoni del venerdì e la scelta di imam certificati.

Al Viminale, questa mattina, è stata convocata una riunione informale del Comitato per l’Islam. Tema dell’incontro, il contenuto di un documento stilato da uno dei membri del gruppo sulla situazione delle moschee in Italia. Tra le proposte più significative del documento, l’utilizzo della lingua italiana nella preghiera del venerdì, la scelta di imam la cui preparazione sia certificata e la grande moschea di Roma, diretta dal marocchino Abdellah Redouane, come modello al quale ispirarsi. «Un percorso virtuoso volto alla formazione delle guide religiose – si legge nel documento – è stato già da tempo inaugurato dalla Grande Moschea di Roma, che gode del riconoscimento al più alto livello diplomatico da parte dei Paesi a maggioranza islamica grazie al coinvolgimento nel suo Consiglio di Amministrazione degli ambasciatori in Italia di questi stessi Paesi».



Per i membri del comitato, poi, si rende necessario, finché la situazione dell’islam in Italia riguarda fedeli provenienti da altri Stati, una «regolamentazione che si occupi dei gruppi numericamente più consistenti, nella fattispecie i marocchini, portatori di esigenze più pressanti rispetto a coloro che sono presenti in modo più sporadico e che costituiscono un’emergenza minore dal punto di vista sociale, senza per questo escludere realtà numericamente meno significative, tra le quali è opportuno citare i pakistani, la cui lingua madre non è l’arabo».



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Altra strada da percorre e valutare, quella degli accordi bilaterali che prevedano che «alcuni Paesi di origine possano indicare, a certe condizioni, quali per esempio un test d’ingresso in cui si verifichi l’effettiva padronanza della lingua e una conoscenza sufficiente della cultura italiana, gli imam in possesso di requisiti idonei allo svolgimento della propria funzione e a garanzia del rispetto del principio di libertà religiosa, della giustizia e della pace, secondo quanto previsto dalla Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo del 1948».