Il governo percorra «tutte le strade consentite sul piano giudiziario» per poter assicurare Cesare Battisti alla giustizia italiana. Lo ha chiesto ieri una mozione bipartisan discussa ieri al Senato, nella quale si chiede l’impegno del governo a fare tutto il possibile per riportare in Italia il terrorista ex leader dei Proletari armati per il comunismo, condannato all’ergastolo per 4 omicidi.
In attesa che a febbraio la corte suprema brasiliana si riunisca per decidere se concedere o negare l’estradizione di Battisti, conviene rimettere insieme le tessere di un mosaico tutt’altro che semplice. Molto meno semplice di come lo hanno presentato i giornali nei giorni scorsi. Perché, questo è il punto, la vicenda potrebbe ancora irrimediabilmente complicarsi. «Da un punto di vista politico – dice al sussidiario Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale alla Sapienza di Roma -, il diniego di estradizione, sostanzialmente privo di motivazione, appare un atto politicamente assai grave».
Ma anche l’Italia ha sbagliato qualcosa. «Occorre percorrere bene le vie del diritto internazionale, ma anche agire prima che la decisione politica venga presa. Una volta che un capo di Stato di un Paese straniero abbia preso una decisione è assai più difficile ottenerne la revoca. E quando si arriva a questo punto, le argomentazioni giuridiche hanno meno spazio».
Con la decisione di non estradare Battisti il Brasile ha violato un trattato bilaterale?
C’è un trattato di estradizione tra Italia e Brasile, firmato il 17 ottobre 1989, che obbliga quest’ultimo ad acconsentire all’estradizione di persone condannate per certi tipi di reati, fra i quali rientrano quelli commessi da Battisti. Ora, l’articolo 3 del trattato prevede una serie di cause che possono giustificare il rifiuto di estradizione. Per quello che ci interessa, punterei l’attenzione su due clausole, precisamente la lettera e) e la lettera f) dell’articolo 3. Quest’ultima clausola è proprio quella invocata nel comunicato della Presidenza brasiliana.
Che cosa dice, professore?
Essa prevede che si possa rifiutare l’estradizione – leggo – “se la Parte richiesta ha serie ragioni per ritenere che la persona richiesta verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali”.
In altre parole, il Brasile ha negato l’estradizione temendo che Battisti potesse essere perseguitato in Italia per le sue opinioni politiche.
Il Brasile può rifiutare l’estradizione se ha serie ragioni per ritenere che Cesare Battisti sia sottoposto ad un trattamento di questo tipo. Se il Brasile continua a sostenere questo punto, secondo me, ha manifestamente torto, perché non esiste alcuna ragione seria per ritenere che Battisti in Italia sarà sottoposto ad atti persecutori. L’Italia è uno Stato democratico che rispetta generalmente gli standard di tutela dei diritti dell’uomo, e non vedo come il Brasile possa sostenere questa tesi.
Ma allora a cosa potrebbe appellarsi il Brasile per negare l’estradizione?
Maggiori problemi possono derivare dal punto e) dell’articolo che le ho citato. Secondo questa norma il Brasile può rifiutare l’estradizione “se il fatto per il quale è domandata è considerato dalla Parte richiesta reato politico”.
Cesare Battisti è un ex militante dell’estrema sinistra e dovrebbe scontare l’ergastolo per 4 omicidi.
Da almeno un secolo si discute su che cos’è reato politico. Intanto l’accezione di reato politico rientra pressoché in tutti i trattati internazionali. Per alcuni esso è un reato oggettivamente politico, cioè si rivolge contro beni di carattere politico: un attentato al Parlamento, per esempio. Secondo altri il reato è tale se è soggettivamente politico, cioè se è commesso dalla persona per fini politici. E questa seconda definizione è estremamente più ampia, perché se rapino una banca non è un reato oggettivamente politico, ma potrebbe essere soggettivamente politico se lo faccio per finanziare un’organizzazione terroristica.
Quindi esiste reato politico solo se si fa cadere il caso Battisti nel secondo caso…
È questo il rischio, infatti. In realtà le tendenze degli ordinamenti contemporanei almeno occidentali dicono che il reato politico è tale solo se commesso al fine di affermare le libertà democratiche e i diritti dell’uomo. Ma non sembra questo il caso di Battisti. Però la cosa che più mi preoccupa è l’ultima frase della clausola: che il reato è politico se tale “è considerato dalla Parte richiesta”. Quindi il Brasile avrebbe una discrezionalità molto ampia nel dire cos’è reato politico. Se il Brasile sostenesse che il rifiuto di estradare si fonda sul carattere politico dei reati commessi da Battisti, l’Italia avrebbe maggiori difficoltà in una controversia internazionale.
Sta dicendo che a fine febbraio la corte suprema brasiliana, decidendo di non estradare, potrebbe dare credito a quest’interpretazione?
Il presidente uscente non si è richiamato al reato politico, ma al supposto rischio di atti persecutori. Secondo me non c’è nessuna possibilità che la corte suprema brasiliana lo segua su questa strada.
Se la corte dice no all’estradizione, per l’Italia si aprono due prospettive: o tentare forti pressioni politiche, o agire per vie legali. Partiamo da questa seconda: quali sono le possibili azioni che l’Italia potrebbe intraprendere e presso quali fori?
C’è un vecchio trattato ancora in vigore, risalente al 1954 tra Italia e Brasile, che prevede procedimenti giudiziari in caso di controversia. Ma un procedimento giudiziario non è così semplice com’è stato descritto dai giornali. Non si può andare direttamente alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja; occorre prima esperire un procedimento di conciliazione.
Quali sarebbero i passi di questa procedura?
L’Italia avrebbe il dovere, entro sei mesi dalla decisione definitiva interna della corte brasiliana, di esperire questo tentativo presso la commissione di conciliazione, formata di esperti delle due parti, che non ha vero e proprio carattere giudiziario. Solo dopo aver inutilmente esperito tale procedura, si potrà adire la Corte internazionale di giustizia. A propria volta la Corte internazionale di giustizia emetterebbe una sentenza di accertamento, e il Brasile dovrebbe poi adeguarsi.
L’Italia potrebbe anche ricorrere alla corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo?
Assolutamente no, e per una serie di motivi. Innanzi tutto, il Brasile non è parte della Convenzione europea. In secondo luogo, si può ricorrere alla Corte di Strasburgo quando vi sia una violazione dei diritti dell’uomo. In questo caso, il Brasile sta violando un trattato di estradizione ma non sta violando i diritti dell’uomo garantiti dalla Convenzione europea. Ciò esclude anche una violazione della Convenzione americana dei diritti dell’uomo. Qui non sono i questione i diritti umani, ma una trattato bilaterale.
La Commissione europea, interpellata dall’Italia, si è mostrata fredda. La questione può non essere di interesse europeo?
Non è di interesse europeo. L’Unione europea ha delle competenze, ma non in questo caso. Il Brasile non sta violando un trattato con l’Unione europea, ma un trattato bilaterale con l’Italia e questo esclude un intervento dell’Unione. Ovviamente, l’Unione rimane libera di effettuare passi informali, senza aver però un titolo giuridico a pretendere l’esecuzione del trattato.
Se il Brasile affermasse di essere intenzionato a tenere nelle proprie carceri Battisti per fargli scontare la pena in Brasile, l’obbligo di estradare cadrebbe?
Cadrebbe se vi fosse un procedimento penale in Brasile per lo stesso fatto per cui Battisti è stato condannato in Italia. Si tratta di capire se secondo il diritto penale brasiliano il Brasile ha la giurisdizione per quei fatti. Ho qualche dubbio, perché sono fatti commessi all’estero, da un cittadino straniero e contro cittadini stranieri.
Secondo lei che cosa insegna all’Italia tutta questa vicenda?
È una valutazione complessa. In primo luogo, l’Italia dovrebbe ragionare seriamente in termini di diritti internazionali: andare a vedere qual è l’obbligo concreto che grava sul Brasile in questo caso, invocare il trattato di estradizione nella maniera giusta, al momento giusto. Insomma percorrere le vie che il diritto internazionale indica. Da un punto di vista politico, il diniego di estradizione, sostanzialmente privo di motivazione, appare un atto politicamente assai grave.
Il nostro paese ha sbagliato qualcosa?
Non conosco bene le azioni intraprese dall’Italia per poter rispondere precisamente. Verosimilmente, il Governo italiano non si aspettava una reazione di questo tipo. In questi casi, peraltro, occorre agire prima che la decisione politica venga presa. Una volta che un capo di Stato di un Paese straniero abbia preso una decisione è assai più difficile ottenerne la revoca. E quando si arriva a questo punto, le argomentazioni giuridiche hanno meno spazio.
Cosa la preoccupa di più?
Il carattere discrezionale che il trattato lascia al Brasile nel decidere se reati come quelli di cui è colpevole Battisti sono o no reati politici. Per fortuna dell’Italia, la Presidenza brasiliana non ha invocato quest’accezione, che ci metterebbe in seria difficoltà.