Si celebra oggi, 25 gennaio, la conversione di san Paolo. La festa veniva già celebrata in Gallia nel VI secolo e a Roma nel secolo IX. L’apparizione di Cristo all’ebreo Saulo sulla via di Damasco viene ritenuta così importante da essere ricordata ben tre volte dagli Atti degli Apostoli. Altra testimonianza decisiva sono le lettere di Paolo stesso che, senza indulgere in particolari, spiega il significato profondo dell’evento che ha cambiato radicalmente la propria esistenza.
Paolo di Tarso è stato l’«apostolo dei Gentili» per la sua missione tra i pagani greci e romani. Secondo i testi biblici, Paolo era un ebreo ellenista che godeva della cittadinanza romana. Fu direttamente persecutore dei cristiani. Tuttavia mentre si stava recando da Gerusalemme a Damasco per organizzare la repressione dei cristiani della città, fu improvvisamente avvolto da una luce fortissima e udì la voce del Signore che gli diceva: “Paolo, Paolo, perché mi perseguiti?”. Accecato dalla luce divina, Paolo vagò per tre giorni a Damasco, dove fu poi guarito dal capo della piccola comunità cristiana di quella città, Anania. L’episodio, noto come “Conversione di San Paolo”, diede l’inizio all’opera di evangelizzazione di Paolo.
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Paolo si rivolse nella sua evangelizzazione prima agli Ebrei, poi ai Gentili. I territori da lui toccati nella predicazione itinerante furono inizialmente l’Arabia (attuale Giordania), quindi soprattutto la Grecia e l’Asia minore (attuale Turchia). San Paolo si dovette scontrare con i cristiani di origine ebraica, che volevano mantenere alcune usanze della legge religiosa ebraica, come la circoncisione.
Furono proprio gli Ebrei a Gerusalemme a farlo imprigionare con l’accusa di turbare l’ordine pubblico. Ma come cittadino romano san Paolo poté appellarsi al giudizio dell’imperatore e fu condotto a Roma, dove fu costretto per alcuni anni agli arresti domiciliari, riuscendo però a continuare la sua predicazione. Morì vittima della persecuzione di Nerone, decapitato probabilmente tra il 64 e il 67.