Le parole del presidente dei vescovi italiani,cardinale Bagnasco, ad Ancona in occasione dei lavori di apertura del Consiglio permanente della Cei, dalle quali si attendeva una condanna senza appello del malcostume del capo del governo, sono arrivate. Non sono però solo una reprimenda moralistica dell’operato del premier, dice Gian Guido Vecchi, vaticanista del Corriere. Perché, è vero, il presule ha parlato di«comportamenti contrari al pubblico decoro», di «stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza», ma ha anche denunciato «l’ingente mole di strumenti di indagine» che rientra nella logica di uno scontro di poteri «che si tendono tranelli». Un discorso complesso, equilibrato – dice Vecchi al sussidiario – che non dovrebbe legittimare nessuno ad arruolare la Chiesa in una parte politica. Anche se qualcuno lo farà comunque.



Un discorso, quello di Bagnasco, in cui sono toccati tutti i nodi critici della situazione italiana. Perché questa scelta?

Il caso Ruby non può essere isolato, quasi che tutto il resto fosse un pretesto per presentare la posizione dei vescovi su questo tema. Di per sé lo «stile» della prolusione è sempre quello di affrontare tutti i problemi – dalla crisi economica, all’unità dell’Italia, alle questioni più scottanti che interessano la Chiesa nel mondo – alla luce della prospettiva che interessa alla Chiesa. Ma quando c’è un tema forte, facilmente accade che esso metta in ombra altri aspetti importantissimi. Soprattutto se ha rilevanza politica nazionale.



Quali sarebbero i temi che rischiano di passare in subordine?

Le parole che Bagnasco ha usato per parlare della cristianofobia son molto dure: ha detto che l’intolleranza religiosa «non è lontana dal porsi ormai nelle forme della pulizia etnica o religiosa». E poi la questione delle giovani generazioni. Il problema educativo è uno di quelli che fanno da filo conduttore all’intero discorso, collocandosi nella riflessione sul «profilo interiore» dell’Italia e sulla sua eredità: c’è, come ha detto il cardinale, un «debito di futuro» delle vecchie generazioni verso le nuove. Non è per nulla scontato che il presidente della Cei, in una sua prolusione, citi le proteste degli studenti, richiamando le loro giuste preoccupazioni.



Dunque la questione educativa non è meno importante della politica.
 

È centrale. A sua volta essa non è vista in modo limitatamente «politico», ma antropologico. Va cioè legata a quella che Bagnasco, facendo proprie le parole del Papa, ha definito la «perversione di fondo del concetto di ethos» e alla critica della visione relativistica della coscienza. La questione educativa è ricorrente in tutta la prolusione: se prima il cardinale ne parla riferendosi all’investimento sul futuro, più tardi vi ritorna a proposito della famiglia. E alla fine ha detto che il paese deve «ringiovanire». Ma quest’insistenza non può più sorprendere, se si pensa che l’educazione è il tema che la Cei ha posto al centro della pastorale del prossimo decennio.

Veniamo alle parole che tutti aspettavano, quelle più strettamente legate alle cronache di questi giorni. Quelle «notizie che riferiscono di comportamenti contrari al pubblico decoro».

Anche le parole sul «caso Ruby» non sfuggono alla logica di un discorso rivolto al futuro di un paese che da più di un anno e mezzo il cardinale Bagnasco esorta a superare la crisi. Facendo però attenzione a mantenere la Chiesa fuori dallo scontro politico. Il suo è stato un discorso improntato all’equilibrio.

Ci è riuscito, secondo lei?

Sì, perché ha parlato di «stili non compatibili con la sobrietà e la correttezza» ma non si fè fermato alla condanna morale: ha stigmatizzato innanzitutto lo scontro tra poteri dello Stato. Non è solo un problema di «debolezza etica», che ha da tempo superato il livello di guardia; siamo in una situazione, per usare le sue parole, nella quale «i poteri si tendono tranelli, in una logica conflittuale che perdura ormai da troppi anni». Ha denunciato l’ingente mole di strumenti di indagine. Sono parole gravi, a mio parere anche più di quelle che riguardano lo «sgomento» della gente. Come dire: è necessario fermarsi in tempo, fare chiarezza nelle sedi appropriate.

Bagnasco ha parlato di moralità pubblica citando esplicitamente un articolo della Costituzione. Perché questa scelta?
 

Deriva dalla preoccupazione di evitare l’accusa, che sarebbe infondata, di una reprimenda strettamente moralistica. La «disciplina e onore» di cui parla la Costituzione sono un valore che vale per tutti, cattolici e non, esattamente come la sobrietà del mandato politico che Bagnasco difende è un comportamento morale che non vale solo per i credenti, ma che ha una base razionale. Un riferimento fatto a ragion veduta.

Che cosa intende dire?

La Cei in questi giorni ha volutamente mostrato una forte sintonia con quanto ha detto il presidente Napolitano. E non è un caso che le parole del Quirinale siano state citate anche dal cardinale Bertone…

Ha detto che Bagnasco ha fatto un discorso equilibrato. Secondo lei quanto pesa la preoccupazione di prevenire divisioni politiche nella gerarchia e nel mondo cattolico, in senso pro- o contro- Berlusconi?

Bagnasco ha fatto lo sforzo di fare sintesi. È perfettamente consapevole che tra i cattolici, e tra gli stessi vescovi, ci sono posizioni differenti e al tempo stesso un disagio crescente. Il rischio di divisioni, su questa vicenda, c’è eccome. Doveva mostrare di conservare la barra diritta, con un discorso calcolato, limato, che potesse tenere insieme tutte le preoccupazioni e quindi tenere insieme la Chiesa partendo da un’analisi di ampio respiro, legata alla fase che vive il paese come «comunità di destino», per usare ancora le sue parole.

Un approccio non nuovo per il cardinal Bagnasco.

Infatti. Già in altre occasioni aveva rilevato che il paese è bloccato nei suoi meccanismi decisionali, paralizzato dallo scontro, mentre la gente che fa sacrifici e lavora chiede a chi  governa uno scatto in avanti. La Chiesa non può, dice Bagnasco, non farsi carico di queste istanze. Si ricorda quando nel novembre scorso disse che non era più tempo di «galleggiare»? Mi pare di poter dire che sotto ci sia un giudizio molto severo: la classe politica non risponde agli sforzi che il paese invece sta facendo.

Secondo lei quest’ultimo discorso del presidente dei vescovi avrà degli effetti?
 

Difficile da dire. Ma c’è un rischio ed è quello, come accade sempre in questi casi, che ciascuno prenda parti del discorso, frammenti da citare per alludere al fatto che la Chiesa ha dato ragione al suo partito.

Senza alcun fondamento? Il discorso non contiene opzioni politiche?

No. Bagnasco ripete sempre, ed è coerente in questo con Benedetto XVI, che la Chiesa non è e non vuole essere un agente politico. Il discorso non permetterebbe a nessuno di dire “ha dato ragione a me”. Ma avverrà che qualcuno lo farà comunque.