Dopo che il Senatùr ha rivelato il ritrovamento di alcune microspie nella sua abitazione romana e nell’ufficio del ministero delle Riforme, la Procura di Roma ha aperto un fascicolo di inchiesta.
La Procura di Roma ha deciso di aprire un fascicolo di inchiesta in seguito al ritrovamento di alcune cimici nell’abitazione romana del leader della Lega Nord Umberto Bossi e presso il suo ufficio al ministero delle Riforme da lui presieduto. I reati ipotizzati contro ignoti sono quelli previsti dagli articoli 617 e 617 bis del codice penale, ovvero di «cognizione, interruzione o impedimento illecito di comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche» e di «installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche».
Era stato lo stesso Senatùr, chiacchierando con i cronisti in tarda serata a Ponte di Legno, dove si trovava in vacanza con la famiglia, a rivelare di aver trovato le microspie ma di non aver sporto denuncia: «abbiamo aspettato troppo. Abbiamo chiamato un privato per la bonifica. Non volevo far casino, tanto un’inchiesta non trova niente. Io non volevo entrare nel casino. Sono uno che tende a minimizzare», aveva detto Bossi, spiegando di aver avvisato il ministro dell’Interno Roberto Maroni che «ha mandato un po’ di suoi uomini».
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Su chi avesse piazzato le microspie, aveva risposto ai giornalisti: «Come si fa a sapere chi sono? Sono scemi sì, ma non del tutto». Nel frattempo, giunge la replica indignata da parte dell’Idv che, per bocca del suo leader Antonio Di Pietro, così commenta l’episodio: «Se quello che ha raccontato è un fatto vero è grave ed è necessario che l’autorità giudiziaria indaghi. Mi dispiace che un ministro in carica non senta il bisogno di denunciare subito un tentativo di intrusione così lesiva ai suoi danni».