Il professor Roberto Mondina, specialista ginecologo ed endocrinologo, medico psicoterapeuta, per molti anni ricercatore e docente presso la Clinica Ostetrico Ginecologica dell’Università degli Studi di Milano si è occupato nella sua lunga carriera professionale anche dello sviluppo della sessualità infantile e dell’importanza di una corretta educazione sessuale.
Professor Mondina, oggi dai mezzi di comunicazione e nell’opinione comune sembra apparire in genere, pur nel variare dei modelli, un mondo in cui sessualità, amore e vita di coppia non presentano eccessivi problemi. Saltuariamente però emergono voci non del tutto ottimistiche sui temi riguardanti la coppia e la famiglia. Che cosa ci può dire sulla base della sua lunga esperienza?
Problemi nell’ambito delle relazioni di coppia esistono, se si pensa che, secondo i dati ufficiali, la metà delle coppie che attualmente si formano è destinata, in presenza di figli o meno, a non durare, cioè a concludersi con una separazione o un divorzio. Crisi di coppia quindi e di conseguenza dell’istituto familiare, di dimensioni enormi, con conseguenze negative non soltanto nel confronto dei due componenti, ma dell’intero gruppo familiare, giovani soprattutto.
Lei pensa che in passato, perlomeno da noi, ci fosse una maggiore stabilità della coppia?
Una maggiore stabilità rispetto a oggi probabilmente sì; ma non come si pretenderebbe da chi tende a magnificare “i bei tempi andati”, in realtà mai esistiti. Un tempo certi drammi emergevano più raramente anche perché, forse, la parte socialmente più fragile spesso subiva in silenzio molte difficoltà tra le mura domestiche: in particolare mancava spesso un supporto economico all’autonomia della donna.
E oggi?
Oggi si tende piuttosto a tenere meno nascoste le situazioni anomale di coppia: tuttavia anche le ipotesi di “famiglia aperta”, formulate nell’illusione di allentare qualche situazione troppo tesa, non soccorrono al danno che il crollo della relazione di coppia induce nei due componenti e ancor più nella loro prole. E qui entriamo nel ruolo più importante dell’istituto familiare che è appunto quello di soddisfare sia le fondamentali esigenze psico-affettive dei due componenti la coppia (l’amore è reciproco dono di sé nell’ambito di un progetto comune), sia, cosa ancor più importante, di indurre una conveniente maturazione psico-affettiva nella prole che, attraverso questo processo, sarà poi in condizione, nell’età adulta, di mantenere legami affettivi più stabili. Si tratta qui di esigenze biologiche fondamentali per l’essere umano, presenti del resto in natura in mille forme anche nel mondo animale.
Secondo lei quali potrebbero essere le possibili cause di questa situazione e quali gli eventuali rimedi?
Credo che in primo luogo si debba parlare oggi di una insufficiente valorizzazione del ruolo familiare e materno nei confronti della prole. E’ auspicabile che anche la nostra legislazione prosegua sulla strada di favorire il ruolo della famiglia, oltre che della scuola, dell’educazione dei giovani.
Quali sono le fasi principali dello sviluppo sessuale del bambino fino alla pubertà?
I meccanismi che presiedono allo sviluppo sessuale coinvolgono fattori cromosomici, neurologici, ormonali e psicologici che nel corso degli anni si integrano e si susseguono secondo un modello organico che ci stupisce per la perfetta programmazione, come del resto avviene in ogni fenomeno del creato.
Bisogna partire dalla vita intrauterina. La differenziazione sessuale è molto precoce nella specie umana. Dopo la definizione del sesso cromosomico che si determina al momento del concepimento, tra la sesta e l’ottava settimana si verifica il fenomeno ormonale più importante di tutto lo sviluppo sessuale: la presenza di ormoni sessuali già in questa fase nell’embrione maschile e l’assenza di ormoni sessuali nel genere femminile (che nella bambina entreranno in funzione al momento della pubertà) caratterizzano da questo momento in modo indelebile le cellule dei nuclei nervosi destinati a regolare nella vita adulta il comportamento sessuale in senso maschile o femminile. Tra l’ottava e la dodicesima settimana si definisce e si conclude la differenziazione degli organi genitali.
A partire poi dalla nascita inizia per il bambino una fase della vita fondamentale ai fini dello sviluppo della futura capacità sessuale; essa dura tre anni. Nel primo triennio di vita infatti il bambino e la bambina raggiungono la loro maturazione psico-affettiva, acquisiscono cioè quella completezza nel dare e ricevere amore che condizionerà nell’adulto anche la capacità di svolgere l’attività sessuale.
Tra il secondo e il terzo anno di vita si verifica anche un’altra forma di maturazione sessuale, il cosiddetto “sesso di assegnazione”, supportato da un meccanismo educativo: il bambino e la bambina devono essere aiutati a intuire di esistere come maschi e come femmine, cioè di appartenere a un genere definito.
Al momento della pubertà tutti i messaggi ormonali, psicologici ed educativi si integrano e si fondono in modo che il ragazzo e la ragazza prendano coscienza di appartenere a un genere o all’altro e di svolgervi un ruolo.
Quali sono le conseguenze di questo percorso a livello educativo?
In un progetto di salute sessuale (che si intende come la capacità di svolgere una normale vita sessuale con reciproca soddisfazione per ambedue i componenti della coppia) è necessario considerare soprattutto il periodo prescolare. Il problema si sposta ai primissimi anni di vita, appena dopo la nascita ed è qui che una società civile dovrebbe concentrare le sue energie. A questo scopo è necessario garantire al maggior numero di bambini la massima disponibilità nella presenza dei genitori, della madre o almeno di un valido sostituto materno. Il bambino deve sentirsi amato e la principale strategia di intervento dovrebbe prevedere il ricupero del ruolo materno. Nella nostra società questo potrebbe essere incentivato anche offrendo alla lavoratrice madre, desiderosa di assumere questo compito, le condizioni per poterlo svolgere, ad esempio un sufficiente periodo di aspettativa a partire dal momento del parto.
Ora il costo effettivo, per ogni bambino, della gestione di un asilo nido non è certo inferiore a quanto la lavoratrice madre percepisce. Ne segue che si potrebbe discutere se destinare gli asili nido ai figli di madri che optano per questa scelta, riservando un “salario sociale” alle lavoratrici madri che preferiscono occuparsi a tempo pieno del loro bambino. Questa scelta garantirebbe al piccolo in vari casi una più sicura “continuità affettiva” fino al terzo anno di vita. La donna dovrebbe sentirsi motivata a tutto questo e dovrebbe anche essere ampiamente informata del fatto che l’amore da parte della famiglia è assolutamente necessario al bambino soprattutto in tenera età. La famiglia assume allora un ruolo fondamentale nell’educazione sessuale, proprio perché insegna a dare e ricevere amore. Di fronte a eventuali traumi affettivi che possono verificarsi a qualsiasi età è compito della famiglia, cioè del mondo dove il giovane vive gli affetti più solidi, contribuire a ridurre le loro conseguenze. Anche al momento tra i due e tre anni, in cui il piccolo intuisce di appartenere a un genere o all’altro, occorre un preciso impegno da parte della famiglia a fornire un modello in cui il sesso non compaia come strumento utile per ottenere supremazia o vantaggi, ma come una felice condizione per dare il meglio, in modo rispettoso di sé e degli altri. Questo compito non richiede negli adulti particolare cultura, ma equilibrio psicologico.
Che cosa pensa del modo con cui la scuola dovrebbe intervenire nell’educazione sessuale?
Il ruolo della scuola è importante a due livelli: sotto il profilo dell’igiene e sul versante della dinamica psicologica della formazione della coppia.
Per quanto riguarda il primo, si tratta di insegnare, meglio se nell’ambito di un corso generale di igiene, perché il sesso non è qualcosa di staccato dall’organismo, come si possono evitare i danni derivati da un errato uso del sesso: malattie sessualmente trasmissibili, gravidanze non desiderate, patologie degli organi della riproduzione che si possono evitare con una adeguata prevenzione.
Sul piano della dinamica della coppia occorre notare che ragazzi e ragazze vivono soltanto apparentemente insieme, perché la loro reciproca conoscenza psicologica è praticamente assente e quando cominciano a vivere l’esperienza di coppia il più delle volte non sanno che cosa passa nella mente dell’altro: ognuno vive il proprio schema relazionale e la propria sessualità secondo il modello del proprio genere femminile o maschile, immaginando che questo vada bene anche per l’altro e ciò può causare le prime incomprensioni.
Da ultimo, alla scuola spetterebbe anche il compito di far conoscere ai giovani quali sono i meccanismi che favoriscono una migliore crescita psico-affettiva dalla tenera età, perché i giovani studenti di oggi possano, quando sarà il loro “turno” di essere genitori, giovare meglio ai loro futuri figli di quanto oggi, forse, non tutti hanno ricevuto. Accanto a questo è compito della famiglia e della scuola orientare i giovani, femmine e maschi, a “rinegoziare i reciproci ruoli” tra i due generi, rispetto a oggi.
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