Il papa, le stelle, e il grande mistero del Creato. L’omelia pronunciata ieri da Benedetto XVI nella solennità dell’Epifania capovolge molti degli stereotipi sul rapporto fede e scienza. La mentalità comune vuole che i credenti basino le loro convinzioni circa l’origine dell’universo esclusivamente su un a priori indimostrabile chiamato “fede” (il racconto biblico della Genesi, preso più o meno alla lettera) mentre gli scienziati poggiano le loro teorie solo sull’osservazione e lo studio dei fenomeni naturali. Posto così, sarebbe e infatti molto spesso è un dialogo fra sordi.



Il papa non ci sta. Le varie teorie “scientifiche”, come quella suggestiva del big bang ma anche per certi versi quella dell’evoluzione, non sono “affatto in concorrenza con la fede”. Il problema è “che arrivano fino a un certo punto” ma non riescono a spiegare “il senso ultimo della realtà”.

La riflessione del papa prende spunto dalla figura dei re Magi. “Sapienti che scrutavano il cielo, non per leggere negli astri il futuro, eventualmente per ricavarne un guadagno” come fanno i furbi mercanti dell’astrologia moderna. No, “sono persone certe che nella creazione esiste quella che potremmo definire la firma di Dio, che l’uomo può e deve tentare di scoprire e decifrare”. Quindi un elogio, anzi una sfida per la ricerca umana. Fiducia nel tratto di strada che la ragione può e deve percorrere. “Nella bellezza del mondo, nel suo mistero, nella sua grandezza e nella sua razionalità non possiamo non leggere la razionalità eterna…”.
 



È il compito suggestivo della scienza scoprire questa intima razionalità del Creato. In questo contesto il papa afferma che “l’universo non è il risultato del caso, come alcuni vogliono farci credere”. Proprio certe teorie, spiega, sono una “limitazione” della mente, quando pretendono chiudere una realtà debordante in assiomi, loro sì, troppo dogmatici. È l’osservazione del creato, la scoperta continua di nuove cognizioni a spingere la ricerca sempre più in là, inappagata, verso la misteriosa trama che lega i vari dati.
 
Come fecero i re Magi, appunto. “Uomini in ricerca di qualcosa di più, in ricerca della vera luce, che sia in grado di indicare la strada da percorrere nella vita”. Inno alla ricerca, quindi, passione vera per la realtà tutta intera. Senza timori o censure. Ma poi, certo, anche il più puro senso religioso non basta. Lascia l’uomo in un’ultima nostalgia melanconica. Perché l’uomo non può vivere di sola attesa. “Così ci appare ben chiaro anche l’ultimo elemento importante della vicenda dei Magi: il linguaggio del creato ci permette di percorrere un buon tratto di strada verso Dio, ma non ci dona la luce definitiva”.



Alla fine, commenta il papa, per i Magi non è stato sufficiente scrutare il cielo: “è stato indispensabile ascoltare la voce delle Sacre Scritture; solo esse potevano indicare la via”. Cercavano un re, hanno trovato un bimbo in una mangiatoia. Probabilmente con stupore, dovettero constatare che quel neonato non si trovava nei luoghi del potere e della cultura, anche se in quei luoghi venivano fornite preziose informazioni su di lui. Si resero conto, invece che, a volte, il potere, anche quello della conoscenza, sbarra la strada all’incontro con quel Bambino… “La potenza di Dio si manifesta in modo del tutto differente: a Betlemme, dove incontriamo l’apparente impotenza del suo amore”.