Nata ad Alençon in Francia nel 1873, entrata giovanissima nel Carmelo di Lisieux, santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo, patrona delle missioni e Dottore della Chiesa visse con totale dedizione la clausura e morì a soli 24 anni nel 1897. La sua “piccola via” è fatta di umiltà, di semplicità e di fiducia, tanto da rendere accessibile a tutti la meta della santità. Teresa racconta la sua vita quotidiana al Carmelo, fatta di sacrificio, di preghiera e di paziente carità nella vita comune e traccia una strada per chi voglia imitarla in contesti diversi da quello in cui si è svolta la sua vita.
Non sono le visioni, le estasi, i grandi discorsi che ci rendono graditi a Dio, ma la fiducia nel suo amore, quello che fa trovare a Teresa il suo posto nella Chiesa: “Nel cuore della Chiesa, mia madre, io sarò l’amore”.
Ella narra con arguzia in Storia di un’anima un episodio della sua vita claustrale che rivela come, lungi dall’essere sentimentale e intimista, fu invece una vera combattente: “Il mio mezzo supremo per non essere vinta nei combattimenti è la diserzione” e ricorda un’occasione in cui ebbe modo di praticarlo. Uno dei mille piccoli scontri di carattere che connotano la vita comune diventa l’esempio di una tecnica praticata con successo: una consorella aveva fatto rumore in tempo di silenzio davanti alla porta della superiora e suor Teresa venne ingiustamente accusata dell’incidente. “Io avevo una gran voglia di difendermi; fortunatamente mi venne un’idea luminosa: mi dissi che certamente, se avessi cominciato a giustificarmi, non avrei potuto mantenere la pace dell’anima, sentivo altresì che non avevo abbastanza virtù per lasciarmi accusare senza dir nulla, perciò l’ultima tavola di salvezza era la fuga. Il cuore mi batteva tanto forte che mi fu impossibile andar lontano, e mi sedetti sulle scale per godere in pace il frutto della mia vittoria. Non era un atto di grande valore, è vero, ma credo tuttavia sia meglio non esporsi alla battaglia quando la sconfitta è sicura”.
Nel suo nascondiglio la piccola carmelitana parla come un soldato, espone il suo piano, ammette il proprio scarso valore, e gode della vittoria ottenuta: la pace dell’anima e la possibilità di vivere la carità anche con la consorella accusatrice. Questo è ciò che conta, anche in situazioni più ampie e complicate. Che giova infatti ottenere con l’arroganza la vittoria in una discussione? La relazione non viene migliorata, la convergenza di giudizio rimane più lontana. Meglio dunque talvolta tacere, riconquistare la fermezza di una parola mite, rimandare l’impazienza di far prevalere a tutti i costi la propria posizione e agire con tutta la carità possibile.