I pedaggi per le autostrade sono sempre più cari. Un aumento che, secondo il buon senso, non ha giustificazioni. Infatti, all’incremento dei prezzi, non fa seguito il contestuale incremento dei servizi. In particolare, dal primo gennaio, i rincari saranno, mediamente, del 3%. Il gap rimane un mistero. «Di solito la concessione ha una durata pluriennale e, salvo particolari revisioni, nel contratto stipulato con il concedente – prima Anas e ora il ministero – è indicata la qualità del servizio concordato», spiega, infatti, Lanfranco Senn, professore ordinario di Economia regionale all’Università Bocconi a ilSussidiario.net.
Si va dall’incremento dell’1,9% di Autostrade per l’Italia, che gestisce il 50% della rete, al 14,5% di Rav-Raccordo autostradale Valle d’Aosta, fino al 18,95% di Sav-Società autostradale valdostana. Su alcune tratta gestite da Gavio, secondo operatore nazionale, si registrano aumenti significativi, come sulla Novara Est-Milano del 12,5% e sulla Torino-Novara est del 12,38%. Il concessionario si giustifica spiegando che la maggiorazione finanzierà i lavori di ammodernamento e ampliamento della Torino-Milano. Tuttavia, il perché, in generale, maggiori prezzi non implichino maggiori servizi resta un nodo da dirimere. «Mentre la revisione delle tariffe è automatica, quella dei servizi ha una dinamica diversa, seppur i due elementi, almeno in teoria, dovrebbero essere legati. La programmazione degli interventi infrastrutturali è, infatti, anch’essa presente nella concessione e ne definisce la sua durata», ipotizza Senn. Non è detto, tuttavia, che le nostre autostrade siano messe, in realtà , così male: «la stessa società – continua – può gestire tratti che non hanno bisogno di migliorie e aggiustamenti e tratti che ne hanno, invece, bisogno». Resta il fatto che, probabilmente, uno tra i motivi che impediscono l’eccellenza del sistema, sta alla sua base. «In Italia non si abbonda certo nel reiterare le gare e rimettere le concessioni affettivamente in gioco. La durata della concessione è trentennale. Del resto, gli investimenti per realizzare sviluppi e interventi di costruzione sono di lungo periodo, il business plan che consente di recuperare i costi sono necessariamente decennali».
Anche la vulgata comune che vede l’Italia agli ultimi posti per quanto riguarda il valore e il rendimento del nostro sistema autostradale, a causa del suo scarso chilometraggio, va presa con le pinze. «Le valutazioni non vanno effettuate sulla cosiddetta dotazione infrastrutturale. Gli indicatori più corretti non solo quelli che riguardano unicamente il chilometraggio, ma anche i servizi che le autostrade rendono. Credo che risaliremmo la classifica se prendessimo in considerazione il rapporto tra dotazione e servizi. Certo, ci sono autostrade congestionate, e altre scarsamente utilizzate; ma non credo – conclude – che in termini di fluidità, la capacità commerciale o l’utilizzo della capacità siamo particolarmente indietro rispetto altri paesi».