Secondo alcune fonti, in Italia sono in costante aumento i medici che praticano, in caso di aborto, l’obiezione di coscienza. Un’inchiesta a cura del quotidiano La Repubblica lancia anche l’allarme: fra cinque anni in Italia non sarà più possibile abortire. Sempre secondo questa indagine, la percentuale di ginecologi che praticano l’obiezione sarebbe del 70,7%. L’inchiesta di Repubblica prende spunto dai dati e dall’allarme lanciato da Laiga, Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194, che oggi si riunisce a Roma nel primo convegno nazionale. In un certo senso, sembra di leggere fra le righe che l’obiezione di coscienza impedisca la libera applicazione dell’aborto e di fatto intralci l’applicazione della legge che lo regolamenta. 
Intanto in America, un gruppo di esperti di diritto internazionale, della sanità pubblica, scienziati e medici firmano un documento in cui si afferma come non sia esatto parlare di diritti umani quando si parla di diritto all’aborto. Secondo Alberto Gambino, Professore ordinario di Diritto Privato e di Diritto Civile nell’Università Europea di Roma, interpellato da IlSussidiario.net,  «il diritto all’obiezione di coscienza è un diritto  regolamentato dalla legge ed è tutelato dalla carta costituzionale. Il diritto all’obiezione», aggiunge Gambino, «è un diritto corretto ed è  paradossale invece ritenere che proprio perché il diritto all’aborto si fonda su una coscienza sociale sensibile l’obiezione invece debba essere limitata o ridotta, quasi che la legge possa stabilire lei cosa è gusto da un punto di vista morale».



Professor Gambino, in che modo l’obiezione di coscienza sarebbe di intralcio all’applicazione della legge 194?

L’obiezione di coscienza corrisponde a un’analisi di quella che è la percezione sociale di un certo evento, nel caso specifico l’aborto. Il legislatore ha ritenuto che davanti a una situazione drammatica come l’interruzione volontaria della gravidanza e che tocca la coscienza anche del professionista, nel caso specifico del ginecologo, egli debba avere la libertà di non praticare alcune attività che sono contrarie a quella che lui ritiene essere la sua coscienza.
È un diritto tutelato anche dalla carta costituzionale, regolamentato dalla legge e che corrisponde alla dignità e alla libertà del medico, alla sua persona e alla necessità di non essere sanzionato laddove ci si trovi davanti a situazioni che lui ritenga anche ripugnanti rispetto al suo sistema di vita.



Peraltro il numero di medici che fanno obiezione di coscienza è in costante aumento.

È abnorme pensare che davanti alla conferma che si tratti di situazioni e vicende che cozzano contro la coscienza si possa limitare il diritto all’obiezione stessa.  Il fatto che tanti ginecologi si stiano rifiutando è la conferma che è fondatissimo il diritto all’obiezione, è la conferma che più si va avanti negli anni e chi opera nel settore tocca con mano la drammaticità che quella del feto è una vita in tutti i sensi e già ampiamente formata. Ciò implica che il diritto all’obiezione è corretto. 
Invece, è paradossale ritenere che questo diritto debba essere limitato o ridotto quasi che la legge possa stabilire lei cosa da un punto di vista morale e valoriale è più idoneo. Il diritto all’autodeterminazione della donna non è escluso dalla legge, ma il problema può nascere quando un medico non vuole sottostare a quella legge.



La legge 194 sostiene il diritto della donna a decidere sulla vita nascente. Cosa che va contro il diritto del medico a non praticarne l’interruzione.

Ricordiamo cosa dice la legge in questione:  davanti a una vita nascente e alla salute psicofisica della donna, laddove ritenga che venga lesa questa sua salute psicofisica, può essere sacrificata la vita nascente. Una scelta della donna perché di fatto si ritiene sia l’unico giudice che può decidere quale sia il danno alla sua salute psicofisica. Si tratta però di eliminare una vita umana alla presenza di un altro soggetto che opera in scienza e coscienza, e non è mica uno strumento, non è un meccanismo.
È una persona che può dire: no io ritengo che questo sia contrario ai miei valori. Sta nelle cose che si debba accettare l’obiezione e che ci siano medici, davvero tanti, che rifiutano di porre fine alla vita umana.

Si sostiene anche che l’aborto cosiddetto “terapeutico”, alla luce dei progressi della scienza che permettono di individuare malformazioni nel feto, sia una necessità che l’obiezione metterebbe in pericolo.

 Attenzione anche qui:  le interpretazioni vanno sempre oltre a quello che dice la legge. Non c’è infatti l’automatismo di abortire un figlio che avesse dei problemi: anche qui ci deve essere una chiara consapevolezza della donna – tanto che si giustifica questo tipo di aborto anche oltre il terzo mese – sul fatto che queste anomalie vengono ritenute contrastanti con il suo interesse psicofisico. La donna cioè non desidera per tutta la vita un figlio con delle lesioni: è questo che si intende con danno psicofisico. Ma non è affatto automatico.

  

Cioè?

  

Non è automatico che il nascituro a cui siano state diagnosticate anomalie e problemi vari debba risultare in un danno psico fisico per la donna. Grazie al cielo ci sono migliaia di casi che dimostrano che persone che hanno menomazioni fisiche da bambini sono in realtà soggetti in tutti i sensi e oggetto di amore, e danno un senso alla vita di chi ha deciso con sofferenza di portare avanti la gravidanza.

  

Di quanto hanno stabilito alcuni esperti americani (vedi l’articolo de IlSussidario.net), cioè che il diritto all’aborto non sia in realtà un autentico diritto umano, che opinione si è fatto?

 

Lo trovo un fatto importante, perché viene dal mondo nord americano. Cioè che proprio lì ci si stia accorgendo della ristrettezza di una privacy come luogo dove in nome di un interesse individuale si possa fare qualunque cosa e quindi anche eliminare una vita nascente perché in contrasto con il proprio interesse personale. Invece, viene detto chiaramente che non può essere forzata la legge sulla protezione della sfera privata, perché questo è il senso di tante sentenze abortive in America.

 

Cosa sottintendono queste sentenze?

Dicono che l’individuo, nel momento in cui è in una sfera di privatezza come quella familiare, può prendere decisioni che contrastano anche con i diritti personali del nascituro. Invece si sta ribaltando questo concetto, dicendo che quando c’è una vita nascente non siamo davanti a una vicenda privata e abbandonata al diritto di un individuo di eliminarla: siamo piuttosto davanti a un fatto pubblico, perché la vita umana per essere tutelata fino in fondo deve essere riconosciuta da tutta la società. Quindi è stato distorto l’utilizzo delle leggi sulla protezione della sfera personale al fine di giustificare anche il diritto all’interruzione della gravidanza.