Provate, come ho fatto io, a telefonare a un paio di amici un venerdì sera d’autunno; ditegli che un sabato di sole in città è la cosa più triste che vi possa capitare e accendete una lampadina dicendo: “andiamo per cantine”. Ma sì, quelle cantine che a distanza di un chilometro hanno l’odore intenso del mosto che avvolge del suo afrore l’aria. Sono belle le montagne del Trentino e della Val d’Aosta, soprattutto in estate, ma avete presente un panorama di vigneti coi colori stremati dell’autunno, mentre scende la sera? A Nizza Monferrato ci andavo in bicicletta da ragazzo, e con Mauro Doglio e Flavio Boffa, amici del quartiere Feltre che passavano le estati a Mombaruzzo (il paese degli amaretti De.Co.), ci trovavamo sotto i portici di questa struggente cittadina a mangiare la “belacalda”, che è la farinata cotta in forno con la farina di ceci. Anche se eravamo ragazzini sapevamo che bisognava bere la Barbera, fosse anche solo un mezzo bicchiere.



Oggi sotto quei portici, in via Pio Corsi, 18, apre le sue porte Tantì (che prende il nome di un mitico ambulante che vendeva la farinata e il castagnaccio nei paesi), locale dove la farinata viene proposta in tutti i modi. Più in là c’è la macelleria di Vittorio e Loredana, presa da assalto dai milanesi, per quella sua maestosa carne di razza bovina piemontese che si mangia cruda, con olio extravergine di oliva, pepe e un brivido d’aglio. Poi ha un salame cotto eccezionale, che richiama copiosi sorsi di Barbera. L’altra sera abbiamo cenato con queste perle, in una cantina. Con me c’erano Mario, Angelo, Apo, Simone e Vittorio e ogni tanto, al nostro tavolo, calavano silenzi autunnali solo perché Simone aveva aperto un sogno: La Vigna dell’Angelo 2001, una Barbera d’Asti superiore denominata “Nizza”. Una carezza d’infinito, con quel colore porpora che lentamente tracima all’arancio. Senti la viola e anche la mandorla quando la porti al naso, e poi rimani in silenzio quando hai assaggiato quella trama setosa, equilibrata, forte, come le donne esili del Monferrato, che hanno una forza straordinaria. Era così mia nonna Angiolina: esile, ma operaia nella sua vigna dei Mogliotti fino a ottant’anni. Io sono di lì, di questi paesi dove è nato Giacomo Bologna, il Virgilio della Barbera, che a Milano conobbe Angelo Sonvico e lo convinse a fare quella Barbera grande, che è diversa dal suo Bricco dell’Uccellone, e marca un territorio.



Ma che buona anche la Barbera d’Asti dell’ultima vendemmia, perfetta con quel salame cotto di Vittorio e Loredana. Lorenzo e Cinzia Perego, imprenditori brianzoli, hanno acquistato La Barbatella (cascina in strada Annunziata, 55, che, da una collina alta che degrada verso Nizza, dà su un panorama mozzafiato). È stato un caso, forse, una sera di traffico tornando a casa dalla Liguria, che i due hanno deciso di svoltare nel Monferrato. Sono rimasti stregati da questa bellezza senza appelli. Di lì a breve, sul Corriere della Sera, Angelo Sonvico metteva in vendita la sua cascina. Loro l’hanno acquistata, con l’intenzione di continuare l’avventura del vino, che adesso ha la linfa di rinnovati entusiasmi. Quella sera c’erano con me i migliori amici, per vivere una cosa memorabile, a Nizza. Ma è come se al mio fianco avessi avuto ancora il mio Riccardo Riccardi, conte di Santa Maria di Mongrando che, assaggiando la Barbera d’Asti, quella che in etichetta ha i girasoli, mi diceva, serio e perentorio: “La Barbera d’Alba ha la quarta di reggiseno Paolo, ma quella d’Asti ha la coscialunga”.



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