Il 70,7% dei ginecologi, in Italia, ha optato per l’obiezione di coscienza. E non pratica l’aborto. Un dato che, secondo un articolo di Repubblica, firmato da Maria Novella De Luca, potrebbe rivelarsi una piaga sociale. Ben presto, infatti, potrebbero sparire del tutto i medici che consentono alle donne che lo richiedono di interrompere la propria gravidanza. «Un problema che, in realtà, non esiste, dal momento che la 194 prevede, oltre all’obiezione, dei meccanismi che consentono di ovviare quando il fenomeno è diventato di tale portata da impedire l’accesso alla pratica abortistica», afferma, interpellata da ilSussidiario.net, il sottosegretario al Welfare Eugenia Roccella. Secondo la De Luca, tuttavia, il fenomeno sarebbe dettato, oltre che da effettive ragioni di coscienza, da cinici calcoli legati alla carriera. Si dà, infatti, per assodato che i pochi superstiti che ancora non hanno fatto obiezione siano considerati reietti, ostracizzati e trattati come appestati dal personale delle strutture per cui lavorano. E si sarebbe determinato, inoltre, un paradosso: se da un lato aumentano le tecniche e le visite per rilevare eventuali malattie del feto, dall’altro sono sempre meno coloro che praticano la soppressione del feto malato. «Le donne dopo aver saputo che il loro bimbo sarà affetto da gravi patologie, restano sole, non sanno dove andare», dice Anna Pompili, ginecologa e docente all’università La Sapienza di Roma. La Rocella è convita che le cose stiano in maniera decisamente diversa. «L’obiezione, anzitutto, non riguarda solamente i medici, ma anche gli infermieri. Il dato del 70,7%, in effetti, è reale. Ma il trend non è solamente italiano. Anche in Francia, ad esempio, c’è una forte percentuale, ed è crescente, di obiettori. Evidentemente è necessario chiedersi il perché». Secondo la Roccella «è chiaro che nel personale medico e paramedico, si crea una forte resistenza di fronte ad un atto così provante. La loro missione, infatti, è quella di guarire e far vivere e si rendono conto, nel praticare l’aborto, che si tratta di un’operazione anomala». A poco vale la considerazione secondo la quale gli obiettori diventerebbero tali per ragioni di opportunità. «Nell’aborto è chiaro come sia presente un elemento di fatica interiore che si proietta, appunto, nell’impossibilità di procurarli per lungo tempo. E’ l’aborto in sé che pone dei problemi».



Qualcuno potrebbe sollevare la questione della necessità di una modifica della 194 nel senso di una restrizione all’obiezione di coscienza. «Il diritto all’obiezione – spiega il sottosegretario – è costituzionalmente garantito. Sarebbe, inoltre, necessario dimostrare che la legge 194 è inapplicata». Ma questo non corrisponde alla realtà. «E’ possibile ricorrere, laddove l’accesso sia reso complicato, alla mobilità del personale, attraverso diversi meccanismi come, ad esempio, i contratti ad hoc. Tanto è vero che il tempo di attesa per l’intervento abortivo è, nel 70% dei casi di una settimana». 

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