Gianfranco se n’è andato quando ormai tutte le cose erano a posto, con quella discrezione contadina che ha dentro il senso del distacco. La vendemmia delle uve per fare il Lambrusco era terminata, là in località Cristo di Bomporto di Sorbara dove Alberto Paltrinieri, il figlio, stava preparando un’altra vendemmia, questa volta fatta di rapporti, di amicizie, di stima. Questa festa si è svolta lunedì, in cantina e in giardino, per presentare Grosso, nome della prima moneta coniata del libero comune di Modena, ma anche di un Lambrusco “metodo classico”, prodotto solo in magnum e realizzato dall’intelligente consulenza dell’enologo Attilio Pagli. C’era tutta la famiglia Morandi, quelli che a Modena aprono la Salumeria-Osteria Giusti, a dare la zuppa di lenticchie e cotechino, il maialino cotto a bassa temperatura con la maionese gialla; c’erano i migliori cuochi dell’Emilia, e tanti personaggi. Poi c’era la mamma di Alberto, sorridente, come chi comunque si commuove che la vita vada avanti. La persona più importante delle festa era in casa con la mamma: Florisa, moglie del professor Enzo Piccinini, amica di Alberto e della sua famiglia. Storie di famiglie queste del vino, storie di tenacia e di lavoro fatto bene. Per ricordare papà Gianfranco, Alberto e la sorella Cristina hanno scelto un brano di Peguy, quello del lavoro, della sedia ben fatta, della moralità, e c’ero anch’io a quella festa. Per assaggiare questo brut dell’altro mondo, che è uno schiaffo di Davide a Golia, dove il primo è il piccolo produttore che crede nella storia e nella qualità che offre il suo territorio e il secondo è quel certo mondo cooperativo che, di fatto, ha mortificato il prezzo del Lambrusco.
Il Lambrusco di Sorbara ha colore rosato, ma soprattutto è caratterizzato dalla freschezza, dall’acidità. Esattamente come i grandi brut. Eppure c’è un luogo comune duro a morire, che connota questo vino come una cosa facile, da bere nell’annata. Ma i conti non sempre tornano, perché i “grandi” vini italiani, e il Lambrusco è uno di questi, diventano se stessi con l’invecchiamento. Lo capii un mezzodì di alcuni anni fa, quando insieme al mio amico scrittore Tony Hendra, andai all’Osteria Giusti sotto i portici di Modena. Ordinai per l’ospite dello Champagne, e per me un brut di Lambrusco di Bellei di 10 anni. Alla fine del pranzo lo Champagne rimase quasi pieno e la bottiglia di Lambrusco finì, con lo stupore del mio amico americano, che per tutto il viaggio, fino a Pesaro, a Fermo e poi a Carate Brianza, continuò a chiedere Lambrusco. Una sera Alberto con la moglie Barbara, che erano appena usciti con il loro super Lambrusco di Sorbara “Leclisse”, premiato quest’anno a Golosaria tra i Top Hundred, ovvero i 100 migliori vini d’Italia, mi chiesero cosa avrei visto d’altro per la loro azienda.



E gli dissi: “Perché non fate anche voi un brut, un metodo classico?”. Alberto ci pensò e nel 2008, complice il bravo Attilio Pagli, fece le prime bottiglie. Ieri ha presentato anche quelle del 2009, solo in magnum, perché il vino riceve il meglio in quel contenitore e poi perché la magnum è la bottiglia degli amici. E per Barbara e Alberto l’amicizia è tutto, fin quando Enzo li spronava ad andare a fondo del loro lavoro, a lasciare una traccia, che necessariamente era diversa, anche se innestata sul solco di chi è venuto prima, da quella di Gianfranco.



Lunedì, con la gente accalcata in cantina, Alberto mi ha detto: “Stammi vicino tu”. Davanti aveva sua mamma, commossa, e sua moglie, un angelo, come tutte le mogli, come mia moglie, che nei momenti più cruciali mi è sempre stata di fronte col suo sguardo fermo, incoraggiante. Ha detto semplici parole, ma è stato profondo, come se Enzo gli avesse suggerito: “Fai così, non stare a menarla più di tanto”. Io avevo già assaggiato il Grosso, da almeno un quarto d’ora, e quando ho preso la parola ho detto che quel vino pieno e rotondo, c’è l’avevo ancora in bocca, con la sua mineralità e sapidità, la sua freschezza pregnante. In questa cantina, oggi, s’è scritta una pagina nuova del Lambrusco: nel segno del buono, della sedia fatta fatta, del canto della terra verso il cielo che è la storia della vigna. E Gianfranco sorride soddisfatto, proprio come nell’immaginetta che mi sono messo in tasca e che, tornando a casa sotto la pioggia, ho guardato ancora.



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