Una famiglia straordinaria, quella di Marco Simoncelli. Lo si è potuto capire dal modo in cui il padre Paolo e la mamma Rossella stanno vivendo questa tragedia, questo dolore immenso. Massima compostezza, nessuna parola fuori luogo, disponibilità con tutti, la capacità incredibile di consolare loro gli altri e a invitarli a non piangere. A Matrix, qualche sera fa, la mamma Rossella ha detto una cosa davvero speciale, ricordando il figlio. Ha detto che il loro compito adesso è mantenere vivo il figlio, cercando di vivere al meglio. Per lui e per la sorella Martina. E poi: “Sono contenta di essere sua madre, il suo chiasso ci mancherà, in casa si sentiva molto”. Paolo Simoncelli era lì, sul luogo della morte del figlio, ad aiutare i soccorritori; la madre Rossella era a casa a seguire la corsa in televisione, ha così visto morire il figlio in diretta. Appena capito cosa era successo, è uscita nel giardino di casa coprendosi gli occhi, attonita. Stavano già cominciando ad arrivare i primi cronisti e i carabinieri per proteggere l’abitazione dai curiosi. Lei ha mormorato solo: adesso no, andate via (). In casa c’era anche la sorellina più piccola di Marco, Martina, 13 anni, che è corsa a chiudersi in camera sua. Una famiglia forte, e Marco Simoncelli conosceva bene quella forza (). Nella sua ultima intervista rilasciata a uno scrittore per un libro, aveva detto: “Mi sento solo? No! No! C’è la mia famiglia, la mia morosa. Mi tengono al caldo”. La sua morosa, Kate Freddi, con cui stavano progettando di andare a vivere insieme. Per Kate, come ha detto in questi giorni, il difficile comincerà stasera, dopo i funerale, quando si ritroveranno da soli. Al programma Matrix ha detto che con il dolore ci può solo convivere e se all’inizio pensava di non farcela, adesso comincia a pensare che forse ce la potrà fare. Ha raccontato di essere andata nella casa che stavano preparando per andarci a vivere insieme e ha provato a parlare con lui, con Marco: “Mi avevi detto che non ci saremmo mai lasciati, invece ti sei sbagliato”. In altre interviste Kate ha raccontato di come si erano conosciuti, al mare, a Riccione, e di come lui corresse da lei in provincia di Bergamo appena possibile. Era abituata a stare senza di lui anche due settimane quando paritva per le gare, adesso si domanda cosa le succederà quando saranno passate due settimane dalla sua morte e non potrà rivederlo.
Nel libro scritto da lui stesso e pubblicato nel 2009, “Diobò, che bello”, pubblicato da Mondadori, Marco aveva parlato a lungo dei suoi genitori. Lo scomparso pilota ricorda le prime preoccupazioni della madre Rossella quando aveva cominciato a correre in motocicletta. Dice che all’inizio non era del tutto contenta, “come credo tutte le mamme”. Poi dopo un sacco di inviti una volta si è convinta ad andare a vederlo correre e così ha cambiato idea: ha visto come era felice il figlio, aveva visto la sua passione, la sua gioia. Tutte cose che contavano di più del fatto che andasse forte (“era chiaro che fossi nato per quello, che fosse il mio mestiere” scrive Marco). Fu quella volta che finalmente si trovò d’accordo con il marito: “Ai ragazzini di dieci, dodici, quattordici anni non si possono togliere gli obiettivi, non si deve impedire di inseguire i propri sogni. Il che, credo, è anche un buon antidoto contro i molti rischi dell’adolescenza, della gioventù. Una specie di assicurazione contro i pericoli di questo mondo, come la droga” dice ancora. Quindi parla del padre, Paolo, che dice non lo ha mai forzato a correre in moto. I suoi genitori, spiega Marco, hanno caratteri opposti: il padre è focoso, e che poi rimane arrabbiato. La madre invece è pacata, riflessiva. Pensano le stesse cose ma le dicono in modi diversi e in questo modo si bilanciano perfettamente: “Uno accelera, l’altra tira il freno, quindi alla fine vanno alla giusta velocità”. Per decidere una cosa, dice, devono essere d’accordo se no non si fa niente. Il padre prima di dedicarsi a tempo pieno alle gare del figlio, faceva il produttore di gelati che consegnava personalmente in giro nei bar.