Apple ne dà l’annuncio attraverso la propria home page listata a lutto: Steve Jobs, il 56enne fondatore della compagnia, è morto. Un genio creativo, un «visionario», come lo ha definito il presidente americano Barack Obama, che ha rivoluzionato il mondo della tecnologia e dei personal computer. Ma pur sempre un uomo. Dopo averlo diagnosticato nel 2004, Jobs ha combattuto per anni contro un cancro al pancreas, che generalmente fa sopravvivere appena il 4% dei pazienti a cinque anni dalla diagnosi. In Italia vengono scoperti ogni anno circa 6.000 nuovi casi, spesso dovuti al fumo, uno dei fattori di rischio. Il tumore di Jobs aveva colpito le ghiandole endocrine, praticamente la forma più rara del cancro al pancreas. Appena diagnosticato, il fondatore di Apple si era sottoposto a un intervento chirurgico, e cinque anni dopo, nel 2009, a un trapianto di fegato che impedì che il cancro, ormai diffuso, compromettesse le funzioni dell’organo. Avevano fatto il giro del mondo le foto che ritraevano Jobs all’ingresso del Centro Oncologico di Stanford, lo stesso in cui si era curato anche l’attore Patrick Swayze, morto 20 mesi dopo aver diagnosticato la malattia. Recentemente, il 30 settembre scorso, il premio Nobel per la Medicina, il canadese Ralph Steinman, è morto di cancro al pancreas appena pochi giorni prima che il premio fosse annunciato. IlSussidiario ha chiesto un parere a Marco Bregni, presidente dell’Associazione Medicina e Persona: «La forma più grave e letale di carcinoma del pancreas è quello cosiddetto esocrino. Il pancreas è un organo che ha diverse componenti: innanzitutto è una ghiandola nascosta nel retroperitoneo, quindi profondamente nell’addome, dietro l’intestino. La componente più importante è proprio quella esocrina, una ghiandola che produce enzimi utili alla digestione. C’è poi la componente endocrina che produce invece degli ormoni, quindi praticamente l’insulina. Delle due componenti, quella che provoca il tumore più importante è quella esocrina, ed è un tumore raro ma non troppo, che per frequenza è circa il settimo. In genere esordisce in modo molto insidioso, perché non dà sintomi, e questo perché il pancreas non è nervato. Comincia però a dare sintomi nel momento in cui invade le strutture nervose del retroperitoneo, quindi quando “sconfina” dalla ghiandola e invade la regione intorno. Dopo aver intaccato i nervi comincia  a far male,  e il sintomo è un dolore tipico che interessa tutto l’addome, il cosiddetto dolore “a cintura”, quindi a fascia. Però il problema è che quando c’è il dolore, significa che la malattia è già in uno stadio avanzato, e questa caratteristica rende appunto questo tumore molto insidioso, perché insorge in modo subdolo senza dare avvisaglie.



Infatti, quando il tumore del pancreas viene diagnosticato, può essere operato solo nel 20-30% dei casi. L’altro 80-70% non può essere operato a  causa dello stadio avanzato della malattia, e deve essere trattato con la chemioterapia e la radioterapia. L’aspettativa di vita è molto limitata, di circa sei mesi- un anno, perché si tratta di un tumore che generalmente non risponde molto bene a queste terapie, che possono rallentare l’evoluzione del cancro, ma senza guarire completamente». Il dottor Bregni ci spiega poi che «in Italia abbiamo centri di eccellenza per questo tipo di tumore, dove il chirurgo, il radioterapista e l’oncologo possono valutare i singoli casi e fare un piano terapeutico. Purtroppo non esistono esami che possano far fare diagnosi precoci del tumore del pancreas, ma qualche volta una ecografia dell’addome, un esame che ormai si fa sempre più spesso, può casualmente identificare la fase precoce del cancro al pancreas, che è senza dubbio una dei tumori più mortali».   

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