E’ stato presentato il Rapporto proposta del Comitato Cei per il Progetto Culturale, il cui tema è il calo delle nascite in Italia. Nel documento, il cui titolo completo è “Il cambiamento demografico, rapporto-proposta sul futuro dell’Italia” compaiono cifre preoccupanti. Mancano infatti 150mila bambini per mantenere la dimensione demografica. Questo significa che è già avvenuto il sorpasso dei nonni sui nipoti e in un futuro giudicato neanche troppo lontano si assisterà a quello tra bisnonni e pronipoti. La realtà in Italia, dice il rapporto, è che la famiglia non riesce a realizzare ciò che desidera, cioè almeno due figli per coppia ed è costretta a fermarsi a un dato di 1,3 o 1,4 a donna. Calano anche le nuove coppie: i matrimoni negli anni ’70 raggiungevano il numero di 400mila all’anno, oggi non superano i 200mila. Per il cardinale Ruini, che ha presentato tale rapporto, viene messa in luce una situazione nazionale gravissima che mette a dura prova “la tenuta del sistema di welfare, la salvaguardia del sistema produttivo e si rischia di minare la pacifica convivenza sociale”. IlSussidiario.net ha voluto approfondire questo tema discutendone con il professor Pierpaolo Donati, Direttore dell’Osservatorio Nazionale sulla Famiglia che è stato anche uno dei curatori del rapporto in questione.
Professore, nel rapporto si legge che lo Stato italiano ha messo in atto una quarantennale incuria nei confronti del problema demografico. Quanto gioca in questo quadro il cambiamento culturale della nostra società, cioè la disaffezione verso valori che un tempo sostenevano e nutrivano l’idea di famiglia, come quello religioso?
Giocano un ruolo entrambi i fattori. Da un lato lo Stato non ha sostenuto, ma invece penalizzato, la famiglia e questo è un fattore molto forte. Penalizzare la famiglia significa aver tassato le persone sposate più di quelle non sposate, aver tassato chi ha figli rispetto a chi non ne ha o ne ha di meno, quindi i costi del fare famiglia sono stati riversati tutti su chi ne ha già una. In passato ho parlato di una sussidiarietà alla rovescia: non è lo Stato che è sussidiario alle famiglie, ma in questi quarant’anni le famiglie sono state sussidiarie allo Stato.
In che modo?
I problemi dello Stato sono stati coperti dalle famiglie e la riprova sta nel fatto che ciò che doveva essere dato alle famiglie nella cassa unica degli assegni famigliari e cioè parecchi miliardi di lire e ancora adesso milioni di euro, non viene ridato alle famiglie, ma viene impiegato a ripianare il deficit di alcune casse dell’Inps, quindi quello delle colpe dello Stato: è un fenomeno indiscutibile.
E il fattore culturale?
C’è, ma è senz’altro di minore impatto. Il fattore culturale di allontanamento dalle tradizioni, dai valori di fede religiosa è qualcosa che sta crescendo in questi ultimi anni con Internet e con una certa modernizzazione culturale. Però i livelli che noi abbiamo in Italia di tassi di matrimonio e quelli relativamente bassi di divorzio e separazione indicano che l’Italia è tra i paesi europei quello ancora più legato alle tradizione. Se tutte le ricerche empiriche dicono che gli italiani vorrebbero un figlio in più non si può dire che abbiamo un basso tasso di natalità basso perché gli italiani non vogliono figli.
Anche perché all’estero, dove i figli si fanno ancora, non esiste certo una disaffezione all’aspetto religioso minore che in Italia. Anzi, magari più alta.
Parlando dell’estero però bisogna far molte distinzioni. Tutti i paesi europei sono sotto il livello di rimpiazzamento delle nascite. Neanche la Francia che ha comunque un indice di natalità abbastanza elevato perché ha un tasso di fecondità dell’1,9 riesce a stare al pari, perché ci vorrebbe il 2,1 per rimpiazzare la popolazione. L’Inghilterra sta molto male: non ha politiche familiari e ha il 60% di bambini che nascono fuori del matrimonio con una disgregazione sociale molto più forte che in Italia. Il discorso cambia per la Germania.
Perché?
In Germania c’è un tasso di natalità molto basso, molto vicino a quello italiano. Teniamo conto che l’area del centro Europa e cioè Germania meridionale, Austria, Svizzera e Italia del nord, è quella che ha la depressione demografica massima al mondo. In Germania cosa succede? I trasferimenti che vengono dati alle famiglie sono da 6 a 8 volte maggiori che in Italia, cioè gli assegni famigliari, i benefici per figli e anziani che abitano in famiglia, misure cioè che dovrebbero sostenere di più la natalità. Quindi qui è il cambiamento culturale a determinare la bassa natalità: lo Stato si impegna per la famiglia, le persone no.
Nel rapporto-documento presentato dalla Cei si parla di un piano nazionale per la famiglia con carattere sussidiario.
Dopo un lavoro di due anni è stato formulato un piano nazionale per la famiglia da parte dell’Osservatorio nazionale famiglia di cui sono direttore. Si tratta di dieci capitoli che indicano quello che si dovrebbe fare per risolvere il problema: introduzione del fattore famiglia nel sistema fiscale, la conciliazione famiglia-lavoro, la casa, l’infanzia e altri aspetti. Questo piano è stato presentato al governo nel luglio 2011. E qui vorrei dichiarare pubblicamente che, se è vero che il momento è grave e le risorse si vanno riducendo, il ministro dell’economia Tremonti non ha mai voluto prendere in considerazione il fattore famiglia. Non si è mai interessato alle politiche familiari per cui c’è una evidente difficoltà culturale e politica a prendere in considerazione la possibilità di finanziare la famiglia.
In che modo sarebbe stato possibile finanziare questo piano?
Gran parte del piano si può fare a costo zero, se ovviamente si fa una redistribuzione nel campo fiscale; applicare il fattore famiglia non costa come dice qualcuno 16 miliardi di euro. A parte che il costo potrebbe essere modulabile. Ma si potrebbe fare a costo zero se si facesse una ridistribuzione orizzontale anziché verticale, trasferendo risorse da chi non ha figli a chi ne ha, invece di tassare indipendentemente dal numero di figli con una tassa che abbia un riconoscimento delle famiglie numerose. Ma ciò non viene fatto perché quello che quello che preoccupa Tremonti è il costo burocratico: bisognerebbe cambiare i moduli della dichiarazione dei redditi, cambiar procedure burocratiche e il problema diventa così amministrativo e burocratico, mentre le famiglie soffrono per il non riconoscimento del mancato carico sociale.