La sentenza di appello con la quale sono stati assolti Amanda Knox e Raffaele Sollecito dall’accusa dell’omicidio di Meredith Kercher, dopo 4 anni di reclusione, costringe tutti a una riflessione profonda sulla giustizia e sulla verità. Da una parte c’è l’opinione pubblica, per gran parte indignata e quasi schifata per una sentenza attraverso la quale si voleva per forza avere dei colpevoli: quei colpevoli. Dall’altra c’è un giudice, che non condanna persone ritenendo che all’interno del processo non siano state rese evidenti le prove della loro colpevolezza. Un giudice che quindi riconosce la possibilità di una divergenza tra la verità emersa dagli atti di un processo e la verità sostanziale.

“Viviamo in una fase di contestazione rivolta soprattutto alla cosiddetta casta, ma che si estende a tutte le istituzioni. Ormai si è formato il convincimento, con le trasmissioni che ricostruiscono le scene del crimine, che tutti, senza conoscere le carte, possano parlare dei processi. Eravamo un popolo di allenatori di calcio, stiamo diventando tutti giudici”. Ma il giudice Hellmann ha anche rivolto un pensiero alla famiglia di Meredith Kercher: “Come giudice a loro non posso dire niente. Umanamente però capisco il loro strazio. Ma una sentenza di condanna non supportata da prove non avrebbe fatto giustizia, né restituito loro la figlia”.

Di fronte a una sentenza come quella di Perugia emerge anche un altro paradosso, un’altra conseguenza scaturita dalla verità processuale: chi paga per il presumibile errore giudiziario per cui due persone innocenti hanno trascorso gli ultimi quattro anni della loro vita in carcere? Saranno risarciti? In ogni caso, quindi, qualcosa non ha funzionato.

Mi permetto di aggiungere inoltre che in tutto questo certo non hanno aiutato i cori forcaioli che si sono innalzati subito dopo la sentenza, né le grida di giubilo di approssimativi innocentisti. Vero è che i cittadini hanno bisogno di vedere che nel proprio Paese vi è un sistema che garantisce che si faccia giustizia sempre. Vero è anche che in molti, più che per la giustizia abbiano in questo caso – grazie anche all’aiuto della morbosità della stampa – fatto il tifo per una piuttosto che per l’altra parte. Allora diventa fondata la frase del giudice: se prima eravamo un popolo di allenatori, oggi sembriamo essere un popolo di giudici.

Nel sistema giudiziario esiste il concetto di presunzione di innocenza degli imputati e questo richiede molta prudenza da parte di tutti: giudici, avvocati, stampa e opinione pubblica. Non so chi ne abbia mai tenuto conto nel corso di questa vicenda. Garantire una vera giustizia è da sempre una delle questioni più difficili con le quali uno Stato di diritto è costretto a fare i conti. Rudy Guede, al momento unico colpevole di questo omicidio efferato, ha cercato nelle parole di Blaise Pascal ragione delle tante contraddizioni di questo caso: “La giustizia è soggetta a discussione, la forza è molto riconosciuta e indiscussa. Così non si è potuto dare la forza alla giustizia perchè la forza ha contraddetto la giustizia e ha affermato che solo lei era giusta. E così, non potendo ottenere che ciò che è giusto sia forte, si è fatto sì che ciò che è forte sia giusto”.

Queste parole descrivono molto bene il rapporto che ha tenuto insieme la ricerca della verità e della giustizia da parte dei media, che ha caratterizzato addirittura il pronunciarsi del Dipartimento di Stato americano e il severo giudizio del Primo ministro inglese Cameron. A fronte di queste letture, ultimamente preoccupate di vedere riconosciuti interessi e ragioni legittimi ma estranei al processo, rimangono le parole del giudice Hellmann, che ha assolto i due giovani ricomprendendo anche il senso del compito dei pubblici ministeri: “Al loro posto, con gli elementi che avevano anch’io avrei chiesto un rinvio a giudizio. Il giudice ha però il dovere di formarsi un libero convincimento. La sentenza del Primo grado a mio parere era illogica e lacunosa. Per i giudici della Corte d’assise le prove erano sufficienti per la condanna, per noi no. Non posso dire che Rudy sia l’unico a sapere che cosa è successo quella notte in Via della Pergola. Di certo lo sa e non lo ha mai detto. Forse lo sanno anche i due imputati perché la nostra pronuncia di assoluzione è il risultato della verità che si è creata nel processo. La verità reale resterà insoluta e potrebbe anche essere diversa. Loro potrebbero essere anche responsabili del delitto, ma non ci sono le prove”.

In dubiis pro reo (Nel dubbio a favore dell’imputato). In attesa che Qualcuno con una misura più grande faccia giustizia fino in fondo leggendo nel cuore di ognuno.