Con questo scritto di mio pugno, termina ogni genere di collaborazione nel settore enogastromico…
Ma no, scherzo! Però le braccia mi sono cascate davvero a terra quando ieri ho visto sui giornali la foto di un mostro sacro della cucina italiana, al secolo Gualtiero Marchesi, che addentava un hamburger. Lo hanno chiamato quelli di McDonald’s per codificare due hamburger firmati proprio da quello che il grande Veronelli definì il “Divino”. E subito le reazioni non si sono fatte attendere. Da una parte la notizia – come se nulla fosse – che viaggiava sui quotidiani nazionali; dall’altra i siti web e i blog che reagivano con sarcasmo. Mi sono venuti i brividi, come se la voce del dissenso, anche nell’area delle tagliatelle e del vino, fosse ormai relegata solo più alla rete, mentre ai giornali no…
“Su De Rica non si può”, recitava uno spot di alcuni anni fa. Ma non è finita, perché la settimana prima il Gualtiero nazionale s’era fatto immortalare con il ministro Brambilla che distribuiva riconoscimenti ad alcuni personaggi additati come i migliori cuochi italiani. Con quali criteri? Anche la Brambilla fa la critica gastronomica? Qualcuno avrà anche pensato: “Ma tu, caro Massobrio, fai parte della Commissione sul turismo enogastronomico che la Brambilla ha costituito all’inizio del suo mandato, sicuramente avrai detto la tua…”. Be’, ci credete che non ho neppure ricevuto l’invito e ho appreso sui giornali questa singolare iniziativa che, anziché mettere in evidenza per davvero il sistema e il valore della nostra enogastronomia, fa ricadere tutto nel folklore? Siamo alla debacle, insomma, alla fine dell’impero a suon di patacche. Patti curiosi fra la multinazionale dell’hamburger e il simbolo della nostra cucina e, fra poco, l’abbuffata dei libri di ricette scritti dai conduttori televisivi che scaleranno le classifiche e arrotonderanno lo stipendio. Gli altri, quelli che nei ristoranti ci vanno, provano, pagano il conto, raccontano, sono relegati sui blog (che si sfoghino pure… alla grande massa non far sapere quanto è buono il cacio con le pere). Sì certo, ci sono problemi ben più importanti di questi, basta guardarsi attorno… ma anche quest’aria di invasione di campo dà l’idea di una certa decadenza, no?
Gualtiero Marchesi lo conosco da una vita e lo stimo, inoltre in tempi recenti e non sospetti l’ho portato sul palco di Golosaria per dire a tutti che lui era l’incarnazione del cuoco italiano, perché dentro di sé aveva la musica, l’arte, il colore, la creatività e la famiglia.
Tutti ingredienti che hanno portato la cucina italiana a volare alto, relegata da sempre nel folklore. Che questi talenti siano stati spesi per dare un messaggio di valore a una catena di fast food a me lascia perplesso, soprattutto in un momento in cui è un altro il settore che va sostenuto, cioè quello della ristorazione media, delle trattorie vere, dei ristoranti che hanno codificato la nuova cucina italiana e che oggi arrancano perché sono i primi a subire i venti della crisi. E dire che già 25 anni fa, Marchesi firmò una linea di surgelati, “Un’idea di Gualtiero Marchesi”, di cui dopo breve tempo non s’ebbe più traccia. Ma la storia è fatta di corsi e di ricorsi a quanto pare. Adesso siamo in fase di bassa marea, dove viene fuori di tutto.